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Fare ricerca in DeepMind Google durante l’emergenza COVID19

Intervista a Francesco Nori, ex ricercatore di IIT, a capo del laboratorio di robotica di DeepMind

Francesco Nori, padovano di origine, è uno dei cervelli brillanti che una volta cresciuto nei laboratori dell’IIT, ha lasciato l’Italia per andare a lavorare in una delle aziende più avanzate a livello internazionale nel campo dell’intelligenza artificiale e robotica, DeepMind di Google. Dopo 10 anni di ricerca nei laboratori di robotica umanoide di IIT, contribuendo allo sviluppo della piattaforma umanoide iCub, dal 2017 è responsabile del laboratorio di robotica di DeepMind a Londra. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare come sta vivendo, insieme al suo team, l’emergenza sanitaria legata al virus SARS-CoV-2.Può raccontarci come da italiano in UK ha vissuto le cronache dall’Italia legata all’epidemia di Coronavirus e oggi quelle in UK?Ho seguito con interesse quello che sta succedendo in Italia. Inizialmente pensavo che non ci fosse un vero motivo che giustificasse il numero alto di casi rispetto al resto del mondo. Poi però al crescere del fenomeno ho cercato di capirne un po’ di più. Perché in Italia la diffusione è così alta, mentre in Asia sono riusciti a contenerlo meglio? Da italiano ho pensato a qualche elemento intrinseco nella nostra cultura che ci distingue dal resto del mondo. Ho pensato all’alta densità di popolazione e al nostro carattere più socievole, ma sono ovviamente speculazioni per trovare una risposta. Sono stato molto colpito dalla situazioni degli ospedali e dalle immagini che si vedono sui giornali. Una situazione chiaramente critica. Nel mio piccolo, qui in UK, ho pensato che potevo contribuire agendo, per quanto mi era possibile, nel ridurre i contagi, sebbene nel frattempo sembrava che le autorità britanniche non volessero adottare misure in tal senso. Google ci aveva già detto di lavorare a casa da più di una settimana prima e così abbiamo fatto. Per fortuna, poi, anche in UK si è capito che bisognava rispondere alla situazione in qualche modo. Oggi siamo tutti a casa, e riduciamo all’essenziale gli incontri sociali. E’ dura, ma in fondo, purtroppo, anche i virus fanno parte del ciclo della vita.Come state gestendo il lavoro nella sede di Google UK?Google ha chiuso gli uffici più di due settimane fa. Io gestisco il laboratorio di robotica di DeepMind. All’inizio di marzo, quando abbiamo capito che la situazione stava degenerando, abbiamo lavorato su diverse parti della nostra infrastruttura in modo che ci consentisse di fare esperimenti da remoto con i robot, principalmente bracci robotici. Grazie a uno sforzo enorme di tutto il mio team, composto da 15 persone, abbiamo implementato un sistema di teleoperazione che ci consente di lavorare senza accedere al laboratorio, completamente a distanza. Ho sentito diversi colleghi in giro per il mondo e in pochi ad oggi possono lavorare con i robot, noi invece continuiamo a farlo, come se nulla fosse successo.Ma c’è stato qualche cambiamento nella vostra attività?Non è cambiata per nulla. Google ha un sistema di videoconferenza per noi eccezionale (Hangouts) che ci consente di lavorare esattamente come lavoravamo prima, solo che non siamo in ufficio, ma ognuno a casa propria con il laptop e tutto quello che serve per continuare ad essere produttivi. Ovvio, facciamo principalmente software e questo aiuta, ma poter lavorare direttamente sui robot è stato possibile anche grazie all’infrastruttura di Google.Pensa che nel futuro l’uso di robot potrà ridurre l’accadere di pandemie del genere?Esistono già molte tecnologie che aiutano. Si pensi solo alle videoconferenze. Pochi anni fa (10 o forse meno) sarebbe stato impensabile rimanere in contatto con i proprio cari, avere un parere del proprio medico, avere supporto psicologico, avere un personal trainer in video conferenza. Ora tutto questo è possibile e ci aiuta nella nostra vita sociale, a non soffrire per l’isolamento forzato. Quanto ai robot, oggi ancora no, ma probabilmente nel futuro ci aiuteranno con la consegna dei beni di prima necessità evitando ulteriormente i contagi. Un problema, ormai famoso, che si sta affrontando è il “last mile”, ovvero la consegna alla porta di casa, che è un “business case” per molte company come Boston Dynamics, Amazon e Deliveroo. Forse un giorno non avremo più una persona che ci porta la spesa e le medicine a casa, ma un robot.

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