Il Presidente dell’associazione italiana SWIM, sul rapporto tra scienza e giornalismo
Anche quest’anno l’associazione di giornalisti e comunicatori scientifici SWIM (Science Writers in Milano) si è riunita per l’incontro annuale dei soci, aprendo le porte ai colleghi interessati e offrendo formazione secondo i criteri richiesti dall’Ordine dei Giornalisti. L’incontro si è tenuto a Pozzuoli, Napoli, dal 14 al 17 marzo presso il TIGEM- Telethon Institute of Genetics and Medicine, l’istituto di ricerca di Telethon dedicato allo studio delle cause genetiche delle malattie rare e che dal 2014 ha sede presso gli spazi dell’ex Olivetti nei Campi Flegrei. Attraverso l’evento annuale, l’associazione SWIM promuove l’incontro diretto tra i professionisti della comunicazione della scienza e le realtà di ricerca nazionali, in modo da favorire lo scambio di conoscenze e, là dove possibile, anticipare criticità etiche, economiche e sociali, prima che queste entrino nell’infosfera coinvolgendo l’intera società senza che i corretti strumenti di analisi e di comprensione siano pronti. Il dialogo tra scienziati e giornalisti, infatti, fa parte di quel rapporto virtuoso tra scienza e società che è fondamentale per rendere socialmente fruibile lo sviluppo di una nuova scoperta o di una nuova invenzione. Durante l’incontro a Pozzuoli, giornalisti e comunicatori della scienza si sono confrontati sull’integrità della ricerca e e l’eventualità di frodi scientifiche, sulla sperimentazione animale, sugli studi della sismicità delle zone vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei, e sulla nuova iniziativa “Science-Media Hub”, promossa dal Parlamento Europeo proprio per portare ricercatori e giornalisti a dialogare su tematiche di scienza da discutere a livello dell’Unione. Altro punto dell’incontro è stata la Conferenza mondiale dei giornalisti scientifici, WSCJ19, che si terrà a Losanna e che vede SWIM tra i promotori; ne abbiamo parlato con il Presidente dell’associazione italiana Fabio Turone.
Quale è stato il ruolo dell’associazione italiana SWIM nell’organizzazione della conferenza?
SWIM ha cercato di sensibilizzare il più possibile le istituzioni di ricerca pubbliche e private in Italia, per coinvolgerle nella conferenza, per esempio con i “field trip”, ovvero delle visite organizzate all’interno dei laboratori per fare incontrare giornalisti e scienziati. Inoltre, come associazione abbiamo contribuito a portare la conferenza, che ogni due anni cambia sede, in Europa, a Losanna. E di conseguenza oggi ci troviamo a fare parte del comitato organizzatore e del comitato di programma. Il nostro prossimo obiettivo è di riuscire a coinvolgere i giornalisti italiani e averli numerosi a Losanna, per partecipare alle tante riflessioni sugli indirizzi internazionali del giornalismo della scienza e sugli strumenti culturali e di lavoro.
Cosa sono i field trip e perché sono stati pensati? In Italia ce ne saranno alcuni, tra cui quello all’IIT.
Attraverso i “field trip” vogliamo creare un ambiente di “mutual learning”, di apprendimento e scambio reciproco, dove il giornalista incontra direttamente le realtà di ricerca e gli scienziati competenti in diversi settori, e lo scienziato impara a confrontarsi con il mondo dei media e con le domande anche le più bizzarre. Sono occasioni di incontro fondamentali per la nostra professione perché l’interesse può essere assorbito tutto dalla comprensione del risultato scientifico, e anche delle eventuali questioni controverse, senza l’assillo di dover scrivere un articolo in poche ore. Oltre alla visita all’IIT, in Italia ci sarà un field trip al Joint Research Center della Commissione Europea ad Ispra, il quale, in particolare, contribuisce a finanziare un workshop destinato ai giornalisti dei Balcani e dell’est Europa per promuovere la loro piena integrazione nel mondo dell’informazione europea.
In Italia quale è il tema che il giornalismo scientifico sente come più rilevante oggi? Perché?
La mia sensazione è che per il nostro Paese, e non solo per il giornalismo scientifico, il tema più rilevante è la convivenza con il concetto di incertezza. In anni recenti è stata la comunità degli statistici a segnalare con preoccupazione l’uso spesso inadeguato di molti strumenti statistici assai diffusi. Questo ha portato alla nascita di muovi centri di ricerca sulla metodologia della ricerca, come per esempio il gruppo di lavoro diretto dal medico ed epidemiologo John Ioannidis all’Università di Stanford, e sta richiedendo uno sforzo ulteriore anche in ambito giornalistico, poiché da una parte il giornalista vuole poter criticare alla luce di queste autorevolissime prese di posizione anche il migliore risultato scientifico, ma dall’altra sa che il suo lavoro può venire strumentalizzato da chi invece produce pseudoscienza. A questo dobbiamo aggiungere che viviamo in un periodo in cui la scienza è diventata un bersaglio, insieme a tutte le istituzioni sociali che in passato godevano di una certa autorevolezza. Uno dei motivi ricorrenti tra quelli che generano diffidenza è lo sfruttamento commerciale delle ricerche, che porta a prese di posizione spesso più emotive che razionali, come per esempio è successo nel caso degli OGM. Inoltre, da una parte abbiamo una maggiore autopromozione di certi filoni scientifici per garantirsi finanziamenti, e dall’altra un ecosistema mediatico in ricerca di continui elementi di attrazione del pubblico e dei rispettivi finanziatori.
Storicamente vi è un unione tra scienza e libertà d’espressione, basti pensare a Galileo Galilei e al pamphlet Areopagitica di Milton che lo cita. Ci sono altri elementi che accomunano le due professioni di scienziato e giornalista?
Ci sono moltissimi elementi che accomunano le due professioni, anche se nel discorso pubblico non spiccano. Per esempio, il giornalismo viene chiamato in causa per raccontare il mondo, ma per poterlo fare bene è fondamentale che sappia fare le domande giuste, senza accontentarsi delle risposte incomplete, né di quelle più facili. E questa caratteristica si pensa sempre sia solo un prerequisito della scienza. Poi abbiamo la fiducia, quella nelle istituzioni e quindi nella scienza come istituzione, e quella nel rapporto scienziati-giornalisti. Le risposte troppo semplicistiche degli scienziati possono portare a insoddisfazione, poiché le domande del giornalista servono ad approfondire. Ma dall’altra parte, però, se lo scienziato risponde con tale trasparenza da illustrare tutte le questioni ancora irrisolte nella sua ricerca, il giornalista meno esperto potrebbe finire paradossalmente per dubitare della sua competenza. Tra scienza e giornalismo, infine, c’è in comune la ricerca di un approccio “responsabile”, che di fatto non definisce in modo prescrittivo l’agire di ciascuno dei due, ma dà un orientamento e dovrebbe indurre entrambe le professioni a non comunicare per “slogan”.
Giornalisti e comunicatori scientifici: sono due professioni simili, ma diverse. Riescono a collaborare?
In Italia c’è una situazione un po’ particolare, perché c’è l’Ordine dei Giornalisti che stabilisce formalmente chi ha diritto di definirsi giornalista. Al tempo stesso, però, da molti anni la legge prescrive che chi lavora nell’ufficio-stampa di un’istituzione pubblica sia iscritto all’Ordine dei Giornalisti, cosa che all’estero suona incomprensibile. Poi ci sono ottimi professionisti che fanno ottimo giornalismo che non hanno la possibilità di iscriversi all’albo. Oggi con la crisi dell’editoria chi ha competenze professionali si trova a passare da un ruolo all’altro. Per esempio, per un paio d’anni può scrivere per una rivista di un’associazione no profit, e poi lavorare in un ufficio stampa, e poi magari in un giornale. Giornalisti e comunicatori usano gli stessi strumenti, e sempre più spesso oggi devono imparare a gestire potenziali conflitti di interesse, quando passano da un ruolo di promozione della scienza o di un’istituzione, al ruolo di “cane da guardia” che vigila in nome dei cittadini su chi gestisce finanziamenti e sposta più in là i confini della conoscenza, con tutte le implicazioni etiche e sociali che ne possono derivare. L’associazione SWIM è nata proprio per creare un ambiente di confronto tra professionisti che nel corso della loro vita possono trovarsi a rivestire diversi incarichi, collaborando per far sì che ciascuno contribuisca all’interesse comune.