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HT: fondazione “aperta”, centrale nell’interazione con il sistema accademico

Intervista al Presidente del Consiglio di Sorveglianza della Fondazione Human Technopole, Gianmario Verona

Professore, dallo scorso luglio è Presidente di Human Technopole dopo essere stato per sei anni Rettore dell’Università Bocconi. Quali sono i punti di contatto tra la sua esperienza nell’ambito dell’alta formazione e le attività di un centro di ricerca?

Anzitutto tengo a precisare che mi auguro di poter portare un po’ dell’esperienza maturata nel precedente ruolo di rettore. Naturalmente, questo di Human Technopole non è un ruolo esecutivo, per cui esiste uno scienziato che svolge il ruolo di Direttore, ma la presidenza del Consiglio di Sorveglianza della Fondazione. Mi auguro in questo ruolo con tutto il Consiglio di supportare le attività di indirizzo strategico in modo efficace. Venendo ai punti di contatto, durante il mio periodo in Bocconi ho introdotto alcune importanti innovazioni di cui vado particolarmente orgoglioso. Tra queste, l’obbligo per tutti gli studenti di superare un corso di programmazione (hanno imparato il linguaggio di Phyton) e l’avvio di un dipartimento di Computer Science, guidato da un fisico teorico di fama internazionale che ha aggregato in pochi anni alcuni dei più brillanti cervelli a cavallo tra informatica, crittografia e capacità di produrre modelli basati sui grandi dati utili anche per le scienze sociali. L’intento di queste iniziative era quello di adottare un approccio sempre più multidisciplinare alla formazione e investire in competenze che permettano ai ragazzi di affrontare la complessità del mondo che ci circonda in questo momento storico. In questo vedo tanti parallelismi con l’attività e l’ambizione della Fondazione Human Technopole che adotta un approccio multidisciplinare alla ricerca scientifica, combinando ambiti di ricerca tipici delle scienze cosiddette “dure” con altri, figli della matrice computazionale che sta trasformando la società e punta, tra l’altro, a migliorare la salute dei cittadini e l’efficienza dei nostri sistemi sanitari. Altra cosa a cui tengo molto è che Bocconi si è aperta ancora di più negli ultimi sei anni di quanto faceva in passato, dai Master of Science con il Politecnico di Milano, al progetto MUSA con anche Bicocca e Statale. Anche Human Technopole è una Fondazione “aperta” che dovrà nei prossimi anni diventare ancora più al centro dell’interazione con il sistema accademico italiano, oltre che internazionale. Da ultimo, Human Technopole insieme al più ampio distretto MIND, vuole inoltre investire sulla formazione dei giovani, sulla valorizzazione delle eccellenze italiane e sull’internazionalizzazione della città di Milano. I punti di contatto con la missione e la visione dell’Università Bocconi, insomma, ci sono e sono parecchi.

Human Technopole si occupa di scienze della vita con l’obiettivo di migliorare il benessere dell’uomo. Quali sono gli ambiti più promettenti della ricerca del suo Istituto?

Allo stato attuale abbiamo soprattutto valorizzato le aree di genomica, neurogenomica, biologia strutturale, biologia computazionale ed Health Data Science con scienziati top a livello internazionale. Abbiamo avuto un grande Direttore, il prof Iain Mattaj, che ha posto le fondamenta di questo progetto e ha appena passato il testimone ad un altro grande scienziato di rientro in Italia il prof Marino Zerial. Abbiamo già vinto i primi grant internazionali nonostante la giovane età – di fatto operativamente siamo partiti l’anno prima della pandemia. L’obiettivo oltre a consolidare il lavoro dei centri messi a regime è rendere ancora più orizzontale la ricerca e puntare più in generale a tutte le discipline, anche analitiche, che ci aiutino a comprendere i meccanismi che permettono di sviluppare la medicina preventiva e personalizzata. Per questo, come dicevo, la multidisciplinarietà è particolarmente importante.

La ricerca nel nostro Paese sconta una carenza di investimenti pubblici marcata negli scorsi decenni. Gli investimenti in centri di eccellenza come IIT e HT prima e oggi il PNRR sembrano invertire la rotta. Siamo sulla strada giusta?

L’Italia spende molto in “accademia” ma, per tanti anni, ha puntato soprattutto a una delle due gambe del mondo accademico, la didattica, mettendo in secondo piano la ricerca. Nel nuovo millennio credo tutti comincino sempre più a comprendere quello che da tempo sappiamo in economia e cioè che esiste una forte correlazione tra crescita del PIL e investimento in ricerca. La ricerca di base produce innovazione e l’innovazione seppur costosa e rischiosa è veicolo di produttività nei settori. Ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale stima che un aumento del 10% dello stock di ricerca di base di un Paese possa aumentare la produttività dello 0,3%. Gli avvenimenti degli ultimi anni, dalla pandemia alla crisi climatica, hanno messo in luce l’importanza strategica di investire in ricerca e sviluppo per la crescita del Paese. Bene, quindi, che negli ultimi anni si sia posta più attenzione a questo tipo di investimenti pubblici con iniziative come l’Istituto Italiano di Tecnologia e Human Technopole e le tante numerose proposte avviate nel quadro del PNRR, a servizio della comunità scientifica nazionale, e più in generale della società. Circa il PNRR è fondamentale che i quattrini siano finalizzati adeguatamente in quanto sono davvero parecchi e il loro buon utilizzo può creare un circolo virtuoso.

Rimane, nonostante qualche esempio contrario, la tendenza ma spesso l’obbligo per giovani con elevato potenziale e con una formazione di alto livello ad intraprendere carriere professionali all’estero. Come si può invertire questa tendenza?

Il problema non è il fatto che i nostri giovani talenti cerchino all’estero opportunità per espandere la loro conoscenza e i loro orizzonti, ma è il saldo negativo nella mobilità dei «cervelli» che affligge il nostro Paese. Per invertire la tendenza occorre fornire a ricercatrici e ricercatori le infrastrutture adeguate in modo da rendere il rientro attraente. Aspirare al brain gain significa pensare ai progetti di vita dei talenti, rafforzando anzitutto i fondamentali incentivi fiscali di lungo periodo, ma anche agevolando la combinazione tra lavoro di ricerca e docenza e ragionando in termini di progetti familiari. È qualcosa che ho imparato durante la mia esperienza in Bocconi: negli ultimi anni siamo riusciti non solo a far rientrare tanti cervelli italiani, ma anche a catalizzare importanti cervelli stranieri. Quello che abbiamo scoperto è che a volte i “peripheral” sono più importanti del salario: la qualità dell’ambiente del dipartimento dove andare a lavorare, la presenza di fondi di ricerca adeguati, il percorso di carriera, l’attrattività della città. Allo stato attuale anche i numeri di Human Technopole sono confortanti e dimostrano che questa inversione di tendenza è possibile. Ad oggi, grazie proprio a ottime infrastrutture, all’adozione di standard internazionali nel recruiting, abbiamo attratto ricercatori da oltre 30 diversi paesi, e più di 80 italiani “di rientro” che hanno scelto di scommettere sul progetto Human Technopole dopo anni di carriera all’estero in alcuni dei più prestigiosi centri di ricerca e università internazionali.

Un tema a lei caro è proprio quello della complessità. Viviamo in un mondo convulso dove tutto deve avvenire rapidamente con l’apporto, ormai totalizzante, dei supporti elettronici. Lei sostiene che “anziché studiare con pazienza la complessità, spaventati, ci difendiamo cercando di banalizzarla”. Abbiamo bisogno, anche in questo caso di essere curati. Ma come?

Ci troviamo certamente a vivere un momento molto particolare. La globalizzazione di produzione e consumi alternata alla schizofrenia della geopolitica crea difficoltà a tutti perché non consente di pianificare con certezza il futuro delle nostre istituzioni. A ciò si aggiunga il momento difficile che le democrazie occidentali stanno vivendo e la conseguente difficoltà di coordinamento internazionale. Per questo occorre evitare di banalizzare la complessità. Occorre viverla cercando di informarci e studiare – e di tutto si può dire di questa epoca tranne che non ci si possa informare e studiare adeguatamente – e contestualizzare le decisioni che dobbiamo prendere. Non è facile, ma ce la si può fare soprattutto puntando alla collaborazione che è una altra risorsa importante che dobbiamo imparare ad attivare. La “cura” per affrontare la complessità, in altre parole, è strettamente legata all’acquisizione degli strumenti e delle competenze che ci permettono di decidere commettendo meno errori. Viviamo poi in un momento dove il digitale e le sfide che la sostenibilità del mondo e della società ci impongono sono centrali quindi molte delle competenze che dobbiamo maturare vanno in quella direzione per superare la complessità.

Nonostante il lavoro sull’intelligenza artificiale e lo sviluppo di grandi capacità di calcolo che la sostengono, donne e uomini sono ancora al centro di tutti i processi. Ma come saranno i Sapiens del futuro?

Difficile a dirsi, soprattutto dopo aver visto in pochi mesi dal suo lancio ufficiale nel mercato quello che la generative AI può fare con strumenti del calibro di ChatGPT e DALL-E. Rimango convinto che il pensiero critico di Sapiens ci permetterà di usarli con parsimonia e con quella dose di creatività che nessuna macchina allo stato attuale ha dimostrato di possedere. Certo è che tra computer quantistici e deep learning ci troviamo di fronte a un momento storico davvero affascinante. Credo, come dicevo, che per rimanere al centro dei processi dobbiamo continuare ad alimentare la cultura dello studio e della formazione. Se combiniamo queste competenze al gusto che le nuove generazioni hanno in termini di sostenibilità, ambiente, rispetto della diversità e dei diritti civili, potremo puntare a vivere in un mondo decisamente migliore. Mi auguro che queste caratteristiche si riflettano nei prossimi sviluppi tecnologici in soluzioni per ridurre i gap di disuguaglianza esistenti, offrendo equo accesso ad opportunità di sviluppo e migliorando la qualità di vita del pianeta.

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