Intervista a Giandomenico Iannetti, coordinatore della linea di ricerca “Neuroscience and Behaviour” di IIT e rientrato in Italia dallo UK
Capita a tutti di evitare “istintivamente” un ostacolo. Ma come si spiegano queste azioni che nel linguaggio comune chiamiamo “istintive”? Ce lo racconta Giandomenico Iannetti, che dirige il Neuroscience and Behaviour Laboratory presso l’Istituto Italiano di Tecnologia a Roma ed è professore di Neuroscienze presso l’University College di Londra (UCL).
Il suo gruppo di ricerca multidisciplinare indaga su come gli animali (uomo compreso) affrontino il mondo attraverso la percezione e l’azione. In particolare, è interessato a comprendere i meccanismi cerebrali per la rilevazione e la reazione motoria agli stimoli ambientali improvvisi.
Perché è importante comprendere i meccanismi del cervello a cui rispondono delle reazioni motorie?
Tutte le manifestazioni esterne del funzionamento del nostro cervello possono essere in ultima analisi ridotte alla contrazione dei muscoli, e al movimento. La selezione naturale ha premiato lo sviluppo di un sistema nervoso in grado di rappresentare il mondo per essere in grado di reagire opportunamente agli stimoli sensoriali di un ambiente che cambia in modo rapido e spesso non prevedibile. Il cervello esiste per farci muovere. Attività cerebrale e movimento sono indissolubilmente legati.
Quali sono i confini che definiscono lo spazio peripersonale e come si creano?
Il termine “spazio peripersonale” sembra intuitivo, ma se ci soffermiamo un momento sul suo vero significato, ci rendiamo conto che il concetto è tutt’altro che chiaro. Risultati sperimentali in diverse discipline hanno dimostrato che l’attività di alcune strutture del sistema nervoso aumenta nel momento in cui lo stimolo ambientale che le causa si avvicina al corpo. Questo fenomeno ha un chiaro senso evolutivo: un predatore che si trova a una distanza da cui ci può attaccare è più rilevante di un predatore che si trovi lontano da noi. Ad esempio, abbiamo mostrato come il riflesso difensivo di chiusura degli occhi sia più intenso quando lo stimolo ambientale che lo evoca è vicino al volto. È interessante notare che l’aumento di intensità di questa risposta non cambia linearmente con la distanza, ma è maggiore in alcune posizioni dello spazio che sono state concettualizzate come “soglie” o “confini”, superati i quali il sistema nervoso decide che è opportuno innescare alcuni comportamenti motori utili alla sopravvivenza.
Ma le risposte del nostro sistema nervoso agli stimoli ambientali dipendono sempre dalla distanza fra stimolo e corpo?
No, e questo fatto evidenzia perfettamente come il termine “spazio peripersonale” sia insoddisfacente: in primo luogo, i comportamenti che assumiamo per evitare o creare un contatto con altri corpi, non dipendono tutti allo stesso modo dalla prossimità spaziale; inoltre, alcuni di questi sono fortemente modulati da altri fattori indipendenti dalla distanza. Questo ci dice che tali comportamenti non riflettono semplicemente il modo in cui il cervello localizza gli stimoli nello spazio intorno al corpo, ma anche altri fattori di grande importanza che sono indipendenti dalla distanza, come ad esempio la semantica dello stimolo. Cercare di capire cosa riflettano realmente le modulazioni di questi comportamenti è uno degli argomenti di ricerca del mio laboratorio. I nostri risultati suggeriscono che le modulazioni dei comportamenti riflettano quanto il sistema nervoso dia importanza (il termine tecnico è valore o rilevanza) a ciascuno di questi comportamenti. Ovviamente, la prossimità spaziale è uno dei tanti fattori che il cervello usa, spesso inconsapevolmente, per aggiornare di continuo il valore delle diverse azioni motorie e quindi scegliere un comportamento a seconda del caso.
Quindi, le tante misure del cosiddetto “spazio peripersonale” sono in realtà dei campi (uso campo nel significato che questo termine ha in fisica: una grandezza funzione della posizione nello spazio e nel tempo) che esprimono il valore delle azioni. Questi campi indicano il valore che hanno le azioni che creano o evitano il contatti fra noi e gli oggetti del mondo in funzione di una serie di fattori tra cui la posizione dello stimolo rispetto al corpo.
Figura 1. Diversi campi peripersonali possono essere calcolati da numerose misure biologiche, ciascuna delle quali dipende in modo differente dalla prossimità spaziale. La figura mostra come esempio tre campi peripersonali conseguenti alla modulazione esercitata dalla prossimita tra uno stimolo visivo e il corpo su tre divers misure biologiche: il riflesso di chiusura degli occhi (‘eye-blink’, in verde), la risposta di un neurone visuotattile con il campo recettivo sul torace (‘single neuron’, in rosso), e i tempi di reazione (‘reaction time’, in blu) a stimoli tattili applicati alla mano. È interessante notare come lo stesso stimolo visivo in posizioni identiche evochi diverse risposte da cui conseguono campi peripersonali con diverse caratteristiche spaziali (da Bufacchi e Iannetti, Trends in Cognitive Sciences 2018).
Cosa si intende per misure comportamentali e misure neurofisiologiche e cosa ci svelano?
Le misure comportamentali quantificano un comportamento eseguito da un volontario umano, o da un animale nel corso di un esperimento: ad esempio, la rapidità e la precisione con cui un cursore su uno schermo controllato da un joystick raggiunge un certo obiettivo, oppure la velocità con cui si preme un bottone non appena si percepisce uno stimolo acustico. Le misure neurofisiologiche, al contrario, sono quelle in cui si quantifica l’attività elettrica o metabolica delle cellule nervose, studiando il comportamento del singolo neurone (mediante l’utilizzo di un ago elettrodo) o di una popolazione di neuroni (mediante l’utilizzo di un elettroencefalogramma).
Come è nato il suo gruppo di ricerca multidisciplinare?
È nato negli anni in cui lavoravo in Inghilterra, prima a Oxford e poi a Londra. Per fare ricerca in ambito neuroscientifico, oggi servono competenze approfondite in ambiti diversi, ed è quasi inevitabile che un gruppo di ricerca sia composto da individui con formazioni diverse, dalla fisica alla biologia, spesso passando per le scienze cognitive e l’informatica.
I vostri progetti finanziati dall’ERC prevedono uno o più obiettivi specifici in termini di applicazioni (diagnostiche, terapeutiche,..), oppure vogliono approfondire una conoscenza che poi verrà messa a disposizione per future applicazioni?
Entrambi i progetti in corso, finanziati dall’ERC, hanno una componente applicativa: lo sviluppo di tecniche per diagnosticare la suscettibilità allo sviluppo di dolore cronico e per misurare l’attività elettrica nel midollo spinale. Tuttavia, è importante ricordare che la ricerca scientifica non può essere esclusivamente guidata dal desiderio di trovare delle applicazioni, e il valore di una scoperta non deve mai essere giudicata dalla sua utilità pratica. Ovviamente, accade non di rado che scoperte guidate unicamente dalla curiosità intellettuale, senza nessuno scopo di applicazione, abbiamo poi delle imprevedibili conseguenze di utilità pratica.