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Il futuro che verrà

Intervista al Direttore Scientifico di IIT Giorgio Metta

Dopo tre anni dall’insediamento come Direttore Scientifico di IIT qual è il tuo bilancio?

I primi tre anni alla guida di IIT rappresentano un’esperienza umana e manageriale notevole. Una sfida immensa, da una parte per sviluppare sempre di più le nostre attività di ricerca e trasferimento tecnologico, dall’altra per consolidare l’incredibile patrimonio di conoscenze e successi dell’Istituto: 32 startup lanciate, 30% del budget ottenuto in maniera competitiva, più di 50 prestigiosi finanziamenti ERC, 1200 brevetti, 2000 persone delle quali l’80% dedicate alla ricerca.

È stata anche una sfida affrontare l’imprevisto. Dopo pochi mesi dal mio insediamento siamo stati colpiti dall’evento pandemico che, certamente, ha condizionato il nostro operato in primis dal punto di vista umano ma, successivamente, ad esempio, per i noti problemi legati alla “supply chain”. La pandemia ha limitato anche gli spostamenti e, come conseguenza, l’acquisizione di nuovi e giovani talenti dai paesi extra EU. L’ultimo anno ha visto un mercato dell’energia molto complesso, con un impatto importante sui nostri laboratori che utilizzano strumentazioni molto energivore, il tutto unito allo shock della guerra in Ucraina che ha certamente acuito il problema dell’aumento dei costi. Questi eventi ci hanno offerto l’opportunità di approfondire ulteriormente il tema della sostenibilità declinata in tecnologie per intervenire nel ciclo della plastica, in quello dell’acqua, nell’agricoltura di precisione come pure nelle tecnologie per il fotovoltaico o la produzione e stoccaggio dell’idrogeno, aprendo una nuova fase di IIT, caratterizzata da una maggior consapevolezza del potenziale impatto economico e sociale della ricerca svolta. Inoltre, su questi temi IIT si è recentemente impegnato in diversi progetti finanziati nell’ambito del PNRR, a livello territoriale ma anche nazionale grazie alla presenza di undici Centri dislocati presso le principali università italiane.

Nell’ottica di mantenere IIT all’apice della scienza, nel triennio, ho lavorato all’aggiornamento del Piano Strategico dell’Istituto ponendo un’enfasi specifica sull’impatto delle tecniche computazionali per lo sviluppo di nuovo sapere nelle nostre discipline storiche: robotica, nanomateriali, tecnologie per la vita, oltre ovviamente alle suddette scienze computazionali in quanto tali. Queste tematiche non solo fanno parte del mio bagaglio culturale di robotico, ma soprattutto sono diventate la chiave dello sviluppo tecnico ed economico dell’intero pianeta.

Sono stati tre anni molto sfidanti per portare IIT dalla sua fase di “startup” a quella di stabile presenza nel panorama della ricerca italiana, europea e infine mondiale, anelando a diventare un nome riconosciuto come i più blasonati marchi della scienza e della tecnologia. Tre anni sui quali possiamo fare qualsiasi affermazione meno quella del “business as usual”. Tre anni nei quali IIT, comunque, è cresciuto in tutti i suoi settori.

Aver fatto parte di prestigiose istituzioni o di grandi aziende è sempre stato, per chi se ne può fregiare, motivo di promozione per la propria carriera. Questo valore sostenuto dal sistema meritocratico inizia ad essere visibile anche per scienziati e manager di IIT?

È grazie al nostro modello meritocratico, mutuato dai migliori esempi internazionali (e.g., MIT, Max Planck), che abbiamo continuato a crescere, sempre ponendo l’attenzione sulla qualità attraverso una valutazione continua del nostro operato tecnico e scientifico. Il merito è sempre stato il nostro unico parametro guida. I risultati sono visibili e tangibili nell’evoluzione della carriera di chi ha condiviso parte del proprio percorso con noi. IIT in questi anni, infatti, è stato in grado di esprimere scienziati nelle posizioni apicali di note università e centri di ricerca. Annoveriamo tra i nostri “ex” il direttore della robotica di Google-Deepmind con il quale ho condiviso personalmente tanti bellissimi progetti, professori e accademici a Glasgow, Amburgo, Aachen, Queens Mary e King’s College a Londra, ma anche in Giappone e negli Stati Uniti oltre a quasi tutti i paesi europei. Un percorso diverso è stato intrapreso dai nostri giovani che hanno scelto la strada dell’impresa creando nuovi posti di lavoro in più di 30 startup. Non dimentichiamo tra le persone che hanno di fatto “realizzato IIT”, il Ministro per la transizione ecologica dell’attuale Governo. Una posizione di assoluto prestigio sia perché la transizione ecologica è un “progetto” che necessita di un’innovazione tecnologica molto spinta, sia perché la questione è la maggiore sfida a livello globale di questo secolo.

Quali sono i settori della ricerca IIT che hanno visto il maggior incremento?

La crescita di IIT è stata organica. Non avendo un’organizzazione “a silos”, IIT non può identificare settori disciplinari in senso stretto o parlare di incremento. Per altro, non è corretto usare il termine “incremento” come se la misura dei risultati possa essere meramente numerica. Meglio ragionare su esempi concreti.

Nel 2021 abbiamo visto la nascita di quattro startup nel dominio delle tecnologie per la vita. Ebbene, tutte sono multidisciplinari: andiamo dalle nanoparticelle che realizzano una “retina liquida”, agli elettrodi per la registrazione dei segnali neurali dal cervello, a sensori nanofabbricati, per arrivare ai nuovi farmaci progettati con l’aiuto di tecniche computazionali.

Siamo cresciuti nelle scienze computazionali – certamente in maturità piuttosto che nel numero di addetti – grazie anche all’investimento in un super calcolatore allo stato dell’arte. Grazie a questo abbiamo cominciato ad analizzare i dati della genomica per ipotizzare il riposizionamento di alcuni farmaci col fine di renderli più efficaci. Nel Centro CMP3@VdA ad Aosta abbiamo implementato un processo software completo che, partendo dal paziente, arriva a “raccomandare” al medico il farmaco potenzialmente più adatto.

Abbiamo, sempre di più, bisogno di intelligenza artificiale e proprio alla fine del 2021 abbiamo incrementato le attività di ricerca relative all’AI applicata alla robotica e alle neuroscienze, che prevede lo sviluppo di nuovi e sofisticati algoritmi, investendo risorse per oltre 3 milioni di euro. L’Istituto Italiano di Tecnologia è anche diventato il primo nodo italiano riconosciuto della rete europea ELLIS, ora in meritata compagnia delle Università di Modena e Reggio-Emilia, del Politecnico di Milano e di quello di Torino.

Infine, ma non per ultimo, nella revisione del Piano Strategico, abbiamo dato un posto di rilievo alla tematica della sostenibilità. Siamo scienziati e sviluppatori di tecnologia. Abbiamo il dovere di trovare soluzioni tecnologiche per affrontare il gravissimo rischio del cambiamento climatico. Non possiamo ignorare il fatto che entro questa decade dobbiamo cambiare il modo in cui utilizziamo le risorse naturali. IIT ha la conoscenza, nel senso ampio del termine, per affrontare i problemi più disparati. Andiamo dalla robotica per l’agricoltura di precisione, ai nuovi materiali completamente biodegradabili, non dimenticando quelli per la produzione d’idrogeno o metano, la cattura della CO2, i nuovi pannelli solari flessibili, e i dispositivi per la salute del futuro a costi ridotti e disponibile per tutti.

Lavoreremo sempre di più in questa direzione sperando che anche la volontà politica, a tutti i livelli, supporti questa azione con gli importanti investimenti necessari.

Anche l’attività di fund-raising rappresenta per IIT un obiettivo importante. Come questo tema è stato affrontato, e quali sono ad oggi i risultati?

Ho citato in precedenza le quattro startup create nel 2021 nell’area delle tecnologie per la vita. Parliamo di quasi 20 milioni di investimento complessivo. Nella storia recente di IIT ricordiamo anche Movendo Technology, nata nel 2016 dalle fucine della Fondazione, la quale ha portato sul mercato la robotica per la riabilitazione post-traumatica; oppure BeDimensional, attiva nel settore dei nuovi materiali bidimensionali, come si intuisce dal suo nome.

Il finanziamento però inizia spesso attraverso l’ottenimento di progetti competitivi. IIT sviluppa la ricerca di base senza la quale non avremmo know-how e tecnologie da trasferire verso il mercato. La ricerca è guidata dalla curiosità scientifica e finanziata inizialmente da IIT stesso oppure, molto spesso, in maniera congiunta con la EU grazie ai suoi finanziamenti competitivi. L’Istituto ha avuto un successo straordinario nell’ottenimento di finanziamenti ERC che hanno rappresentato nel tempo una misura di qualità dei nostri Principal Investigators (PI), ma anche favorito il lancio di nuove attività di ricerca, poi proseguite con i cosiddetti progetti Proof of Concept (sempre finanziati dallo ERC), oppure progetti collaborativi come quelli dello Eurpean Innovation Council (EIC), per approdare infine alle attività di organizzazione e promozione delle start-up. Nei prossimi anni, il percorso della creazione di impresa sarà anche sostenuto attraverso i fondi stanziati nell’ambito del PNRR. A valere su tali risorse, a titolo d’esempio, vorrei citare il progetto finanziato quest’anno con 109 milioni di euro per la creazione di un Ecosistema dell’Innovazione territoriale chiamato RAISE, che vede IIT responsabile delle attività di trasferimento tecnologico su una base scientifica trasversale di robotica e intelligenza artificiale.

In IIT, la capacità di fare è sempre approdata al trasferimento tecnologico. Avendo abbattuto i silos del sapere, molto naturalmente, sono crollati anche quelli della differenza tra ricerca di base e applicata. È tutto un continuo che lega idee e applicazioni. In fondo, facciamo ricerca perché siamo naturalmente curiosi ma anche perché sentiamo come dovere quello di migliorare la condizione della vita umana. Che questo avvenga attraverso la robotica, le scienze biologiche, lo sviluppo di nuovi materiali o un mix di tutto ciò è indifferente.

Tu conti molto sul trasferimento tecnologico. Come credi si possa sviluppare questa attività e come IIT si pone in questo ambito rispetto ad altri centri di ricerca internazionali

Il programma di IIT nel trasferimento tecnologico è declinato in una serie di attività tutto sommato standard: brevettiamo, diamo licenze sulle nostre tecnologie, sviluppiamo progetti di ricerca sponsorizzata o laboratori congiunti con le aziende, aiutiamo e supportiamo la creazione d’impresa anche attraverso la formazione specifica. Tutto ciò viene portato avanti da una squadra che con dedizione e impegno assoluto cerca di massimizzare le opportunità. Abbiamo una rete di aziende, di Venture Capitalists e Business Angels, di fondi e strumenti con i quali ci manteniamo continuamente in contatto per esplorare le migliori possibilità di trasferimento tecnologico. Ricordo, per esempio, il lancio recentissimo di RoboIT un programma di progetti “proof of concept” costruito in collaborazione con CdP Venture e un network di università sulle tematiche della robotica.

Cerchiamo sempre di fare le cose con cura ed efficienza, abbiamo una squadra che con dedizione e impegno assoluto cerca di massimizzare le opportunità. Abbiamo anche una squadra di scienziati di primissimo livello: dove ci sono le idee di qualità, nasce anche, quasi naturalmente, il trasferimento tecnologico. Non esiste una ricetta speciale. D’altra parte, i risultati si vedono nei numeri. Quando dico che non esiste la “ricetta” è perché ciascun progetto è un qualcosa di unico, speciale, che richiede la massima flessibilità per essere valorizzato al meglio.

Pensando al futuro invece, quello che vorrei realizzare è un vero ecosistema dove creiamo una circolazione di talenti, idee, soluzioni tecniche, laboratori, aziende e operatori finanziari intorno a IIT. Vorrei creare un luogo di creatività simile al modello del Media Lab del MIT. Alcuni semi li abbiamo già piantati: un centro dedicato alla robotica industriale a Genova, il già citato progetto RAISE, una presenza nei Centri di Competenza 4.0 e, per finire, nasciture start-up – anche esterne a IIT – che vorrebbero insediarsi a Genova.

La visione è quella di moltiplicare le possibilità che le tecnologie di IIT trovino una strada verso le aziende, moltiplicando il network e possibilmente offrendo le nostre tecnologie in maniera continuativa e ripetitiva con progetti sempre nuovi e dedicati per accrescere la competitività delle aziende.

Vorrei farlo per il territorio, ipotizzando di mettere a sistema tutto quello che abbiamo già fatto, ma anche creando un’accelerazione per le aziende, che sia tecnologica in primis, ma anche di business, innovando anche nei modelli, e per finire con gli aspetti finanziari. Il tutto deve anche possedere un contenuto di formazione affinché l’industria si contamini con la ricerca più avanzata e allo stesso tempo i ricercatori capiscano meglio cosa voglia dire fare business.

IIT avrebbe la guida del sistema accanto ai professionisti per ciascuna disciplina. In alcune occasioni ho proposto per quest’area, la possibilità che diventi una vera “Robot Valley”, non solo per le capacità tecniche in questo settore, ma perché la robotica è la metafora di qualsiasi dispositivo: meccanica, elettronica, software. Il nuovo Piano Strategico di IIT incorporerà la “Robot Valley” tra i suoi obiettivi relativamente al trasferimento tecnologico.

Le rapide trasformazioni sono il segno del nostro tempo, non tutte purtroppo, positive. Come la scienza può continuare ad essere un volano per le contaminazioni culturali e per la diffusione del sapere?

Assistiamo certamente a un’accelerazione importante di tanti elementi del “fare umano”. La tecnologia cresce vertiginosamente, la società cambia rapida, la comunicazione immediata è alla portata di (quasi) tutti, le differenze (i “divide”) di cultura, censo, competenze si accentuano, il clima cambia come non è successo da milioni di anni proprio a causa delle attività antropiche.

In questo panorama di megatrend, i cui effetti potrebbero essere drammatici, possiamo essere efficaci nell’affrontare i problemi solo con un approccio razionale e scientifico. Nessuna ideologia ci aiuterà nella transizione energetica piuttosto che nella malattia, nella fame o nella gestione oculata dell’ambiente.

Dobbiamo quindi creare conoscenza diffusa, insegnare il metodo scientifico che aiuta a distinguere il reale dalla fantasia, il fatto tecnico dalle “fake news”, la medicina dai ciarlatani. In un secolo che si prospetta difficile – più che altro per i gravi effetti della crisi climatica – c’è sempre più bisogno di decisori informati, preparati, che sappiano guidarci nella difficoltà. Il futuro non è scritto, possiamo ancora invertire certe tendenze.

Nel nostro ruolo di scienziati abbiamo, ancora una volta, il dovere di “fare cultura” non solo per noi stessi, per la comunità accademica, ma sempre di più per un policymaking informato, basato sull’evidenza tecnico-scientifica. Questo lo dobbiamo ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

IIT in questo senso ha quindi anche la missione di comunicare, di aiutare il Paese a intraprendere un percorso virtuoso. Abbiamo mostrato che un modello diverso è possibile e questo stesso modello porta a risultati eccezionali. Il Paese non deve sprecare questa occasione.

Mi piacerebbe che IIT fosse, ancora di più, il referente tecnico per chi si trova a dover decidere.

L’intelligenza artificiale è argomento aggredito dalla pubblicistica corrente con semplificazioni spesso ardite. Sei tra i massimi esperti di questo ambito, e quindi ti chiediamo di fare un punto realistico sull’evoluzione di questi studi.

Si parla, forse fin troppo, di intelligenza artificiale. È affascinante ipotizzare un giorno di poter ricostruire l’intelligenza umana nella macchina e, perché no, un’intelligenza velocissima nell’elaborare soluzioni ai problemi che affliggono l’umanità. La realtà però è leggermente diversa. L’IA è solo un insieme di metodi che fanno un’analisi dei dati molto sofisticata e tentano di strutturare per noi quanto potrebbe altrimenti sembrare un mero amalgama di numeri senza forma e significato.

La comunità scientifica parla dell’IA come una nuova elettricità per quanto sarà pervasiva e foriera di un cambio di marcia in molti settori. Altri dicono che, risolto il problema dell’intelligenza in senso lato, gpossiamo a quel punto risolvere qualsiasi altro problema. Infine, qualcun altro pensa che sia meglio tutto sommato pensare a trasformare l’IA di oggi in una vera disciplina ingegneristica per mettere a frutto quanto già fatto in applicazioni reali.

Io vorrei portare una visione ancora diversa e focalizzare questo discorso su come l’IA cambierà il modo di fare scienza. Mi ricollego anche ad alcune idee che riguardano il nostro prossimo Piano Strategico che sarà lanciato nel 2024 e coprirà il periodo fino alla vigilia del nuovo decennio. Il nuovo Piano Strategico vedrà infatti la computazione e l’intelligenza artificiale come l’elemento fondante di tutte le aree di ricerca di IIT. Manterremo la visione complessiva: cambiamento climatico e salute continueranno a essere le nostre sfide.

Nel mondo dei nanomateriali, la chimica, dalla sintesi alla gestione dei laboratori, dalla misura all’analisi del risultato è un continuo ricorso al dato digitale. La velocità con la quale ipotizziamo, proviamo, sintetizziamo e creiamo nuove applicazioni dipende dalla robotizzazione, automatizzazione ed elaborazione del risultato. Tutto ciò è intrinsecamente AI. Nel prossimo futuro, la ricerca dovrà per forza di cose dotarsi di laboratori altamente automatizzati, le cui incredibili quantità di dati saranno analizzate attraverso algoritmi di apprendimento automatico. Chi non lo farà è destinato a rimanere indietro.

Immaginate le neuroscienze che riescono a “vedere” l’attivazione dei neuroni nel cervello in maniera sempre più estesa misurando simultaneamente l’attivazione di migliaia di cellule. Come valutiamo gli schemi di attivazione delle reti neurali? Come colleghiamo questi dati alla patologia piuttosto che al comportamento sano?

La già citata biologia molecolare, come potrà mai mettere ordine nella sconcertante quantità di dati omici che possiamo oramai raccogliere per ciascun paziente? Come disegneremo nuovi farmaci se non con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, chi potrà mai capire la forma delle proteine se non abbiamo programmi che le simulano e visualizzano a partire dalle misure al microscopio piuttosto che con la risonanza magnetica?

Ebbene, dobbiamo per forza di cose ipotizzare una scienza che ha raggiunto una capacità sperimentale – e quindi di generazione del dato – incredibile. Non possiamo che utilizzare l’IA per analizzare questi dati. Sono semplicemente troppi per essere elaborati manualmente. La scienza sperimentale produce, deve produrre, quella computazionale deve aiutarci a spiegare il nesso tra quanto prodotto da quella sperimentale.

Uno dei nostri valori più importanti è la multiculturalità, termine che abbraccia tutti i grandi principi etici e morali delle moderne civiltà. Su tutte, l’idea del confronto pacifico e del rispetto delle differenze. Non credi che i conflitti che stiamo osservando e per quanto ci è possibile, contrastando, possano mettere in discussione anche nel nostro microcosmo la quotidiana convivenza?

Non credo che nel mondo della scienza ci sia spazio per vedere differenze tra individui. Siamo coscienti di avere tutti una visione ampia. Non è solo tolleranza, è molto di più. Lo scienziato non percepisce neanche la differenza tra individui. Siamo tutti diversi ma tutti uguali.

In aggiunta, la diversità è sempre stata un valore per la scienza. Esperienze diverse di formazione, cultura, vita sono semplicemente possibili modi per osservare il mondo da un diverso punto di vista e scoprire magari qualcosa di unico e diverso. Non sappiamo veramente dove nasca l’intuizione della scoperta, ma sappiamo che gli ambienti più vari sono quelli dove si hanno i migliori risultati. Gli scienziati di IIT arrivano da più di 60 paesi diversi.

Un mio sogno, avere dei forum di discussione aperti a tutti i 2000 colleghi dell’Istituto nei quali condurre dei tavoli di discussione per parlare di scienza, società, vita e carriera. Tempo permettendo, sarebbe bello raccogliere le esperienze di tutti i ricercatori, tecnici, amministrativi in forze in questo momento e quelle del passato con la loro evoluzione verso altre realtà.

Come non ricordare in questo momento il ricorso alle armi ai confini dell’Europa per un conflitto brutale e “antistorico” che coinvolge e colpisce donne e uomini, le cui capacità potrebbero essere più saggiamente orientate per affrontare i gravi problemi esistenziali della specie umana. Il pianeta è al cospetto di gravi emergenze, come quella del cambiamento climatico (che è una questione accertata numericamente), alla diffusione di malattie esse stesse correlate al cambiamento climatico, al divario esponenziale tra ricchezza e povertà.

Sfortunatamente, invece di salutare un impegno della politica e dei suoi decisori per la soluzione di questi problemi, osservo con preoccupazione le risposte violente che sembrano azzerare il nostro impegno verso un approccio razionale ai problemi del mondo.

I rapporti con tutta la comunità IIT, sia la componente scientifica sia quella amministrativa, sono molto importanti: come mantieni queste relazioni e come se possibile, vorresti migliorarle?

Ho già parlato di sfide. Costruire e mantenere un ambiente sereno e collaborativo di fronte alle sfide attuali non è certamente facile. L’Istituto ha fatto tanto negli anni per il benessere dei propri “ragazzi” e, in media, il lavoro effettuato è stato ben recepito dai membri della nostra comunità.

Quello della pandemia è stato un momento complesso, la cui gestione, grazie anche a un pizzico di fortuna, ha portato a un impatto lieve per IIT. Ha però lasciato un segno nello spirito, un ripensamento del bilanciamento tra vita privata e lavoro. Dobbiamo ora riconsiderare alcuni elementi della nostra organizzazione, capire quanta flessibilità utilizzare, come motivare nuovamente la nostra comunità a migliorare ancora.

Mi piacerebbe, per esempio, avere le risorse e le possibilità di strutturare iniziative in grado di includere tutto il personale, anche quello amministrativo e di supporto alla ricerca, nella progettualità scientifica in senso lato. In altri luoghi, iniziative di fatto volontarie hanno lanciato progetti come “Street view” e “Google Earth”. Ciascuno potrebbe contribuire con i propri mezzi e le proprie capacità, con lo spirito di poter essere parte della più grande missione della storia dell’umanità. Tutto questo, se le circostanze lo dovessero permettere, dovrebbe essere condito da un miglioramento anche dei benefit come pure dalle opportunità di aggregazione. Si dice che la scienza spesso si fa “alla macchinetta del caffè”: abbiamo bisogno di luoghi di questo tipo dove stare insieme e parlare di più. Probabilmente ci vorrà un po’ di tempo per queste iniziative, ma è importante iniziare a tracciare la strada. IIT dovrebbe abbracciare saldamente i valori che ci siamo dati: integrità, coraggio, responsabilità sociale, inclusione.

Nei prossimi mesi costruiremo anche un sistema di informazione interna più mirato e aperto. Regole trasparenti e ben descritte per tutti saranno il motto dell’Istituto che vorrei implementare. Il vademecum che abbiamo circolato in maniera ampia negli ultimi mesi è un primo tentativo di incrementare questo genere di trasparenza.

Quali sono i macro obiettivi futuri di IIT e che messaggio vuoi consegnare a tutti i nostri colleghi e a tutti coloro che da osservatori diversi continuano a seguire il nostro lavoro con grandi aspettative.

Possiamo riassumere gli obiettivi futuri in pochi passaggi narrativi.

IIT è cresciuto rapidamente e ha dimostrato in breve tempo che si può essere molto bravi anche nel sistema iper-burocratizzato italiano. Spesso critichiamo l’Italia senza pensare che in fondo i sistemi – grandi o piccoli che siano – sono fatti di persone. Quando le cose non funzionano molto spesso non è (solo) un problema di regole, bensì di persone.

Vorrei vedere un IIT conosciuto nel mondo, faro della ricerca e portatore di soluzioni per il cambiamento climatico e la salute. Robotica, nanomateriali, biologia e computazione saranno sempre le nostre competenze. Il mix sarà sempre più intrinseco in quello che faremo. La computazione, il digitale, l’AI saranno pervasive in ogni nostra azione.

Vorrei vedere un IIT simbolo di un luogo speciale sotto tutti gli aspetti. Un modello di lavoro flessibile che sappia garantire uguali opportunità, senza distinzioni, se non quella del merito. Su quest’ultimo punto non ci possono essere sconti. La meritocrazia non può essere derogata. La nostra missione non si può compiere senza l’elevatissima qualità. La qualità d’altronde è misurata periodicamente e in maniera oggettiva in IIT.

Vorrei vedere un IIT in crescita, riconosciuto dal nostro stesso Paese, meritevole di ricevere ulteriori finanziamenti per attirare ancora più talenti a lavorare con noi. Questo ci potrebbe consentire anche una crescita verso nuove sfide per coprire tematiche che al momento possiamo solo, metaforicamente parlando, guardare da lontano.

Vorrei vedere un IIT ancora più “diverso”, maggiormente internazionale, maggiormente presente nei processi decisionali del Paese, perché in fondo dobbiamo capire – come società – che il pensiero e l’approccio scientifico sono gli unici che possono garantirci un futuro in crescita mentre ci curiamo di noi stessi e dell’ambiente nel quale viviamo.

Per fare tutto questo ho bisogno di una vera mano di supporto da ognuno dei 2000 colleghi parte della famiglia IIT, elementi essenziali, ciascuno nella propria unicità, di un progetto nato per aumentare la qualità della vita delle persone, migliorando il nostro Paese e salvaguardando il nostro pianeta.

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