Ivano Fossati è un musicista che, nel corso della sua lunga carriera, ha seguito con continuità un percorso di ricerca che ha profondamente innovato la composizione musicale. La scrittura, melodia e testi, dell’artista genovese sono espressione di una felice fusione. L’evoluzione di una complessità ritmica e narrativa che ha raggiunto e formato all’ascolto un pubblico trasversale ed eterogeneo, unito dalle avvolgenti visioni che fissano fotogrammi indissolubili della nostra esistenza. Il grande freddo, che spesso sferza e irrigidisce le relazioni tra le persone, si stempera quando si incontra, si ascolta “il bello”. Alla ricerca e alla produzione musicale di Fossati dobbiamo il disgelo dei nostri cuori, l’attivazione di sensibilità latenti.
Ivano Fossati, la ricerca nella musica da dove parte: dai testi, dalle melodie, dagli arrangiamenti?
Parte inizialmente da una pura istintività che poi si dirama in quello che vuoi dire con il codice delle parole e quello che vuoi suonare con il codice della musica. È molto importante che i due codici, che sono differenti, siano compatti. Parliamo di canzoni per circoscrivere l’argomento. Tutti i grandi successi degli ultimi cinquant’anni nascono da codici musicali e codici di pensiero che vanno perfettamente d’accordo. Quando ciò non accade puoi essere certo dell’esito negativo della tua fatica. Propongo uno schema elementare: se io devo esprimere una gioia lo farò su una scala ascendente maggiore. Se voglio comunicare malinconia suonerò accordi minori. Questo significa usare, in maniera basica, i codici che, se elusi, non trasferiscono nulla a chi ascolta. Bellissimi esempi che chiariscono in modo superbo questo concetto sono due brani. “Helter Skelter” è una canzone molto dura, con molta forza, si sviluppa attraverso una scala maggiore ascendente che Paul McCartney utilizza per traferire la potenza della sua canzone. In “Imagine”, motivo di John Lennon che esprime umanità e dignità, osserviamo la perfetta fusione tra parole e musica. Infatti, se fosse possibile ascoltare solo il pianoforte che esegue questo brano ci si accorgerebbe che la musica esprime esattamente ciò viene sottolineato attraverso le parole. Parole e pianoforte dicono esattamente la stessa cosa.
Ecco da dove parte la ricerca nella musica. Nasce dall’istintività di un momento che noi chiamiamo ispirazione. Dura un attimo, poi intervengono le grammatiche che esemplificavo e che si devono conoscere e utilizzare per trasformare un’idea in un brano di successo.
Quali sono gli obiettivi della ricerca musicale, creare un successo discografico, raggiungere una élite, fare quello che piace?
Occorre avere chiaro cosa si vuole rappresentare con la propria musica, con la propria arte, potrebbe essere il cinema, la letteratura, il teatro. Un artista deve sapere chi essere agli occhi degli altri. Cosa voglio dire a chi mi ascolta, qual è la temperatura della mia musica che voglio misurare. Non è detto che debba essere per forza la ricerca del grandissimo successo, è essenzialmente l’individuazione di una tua collocazione precisa. Credo, infatti, che ognuno di noi desideri essere compreso dagli altri. Per ottenere ciò si deve essere “leggibili”, precisi, offrendo il meglio possibile. Ecco, nella musica è così: avere chiaro cosa si vuole rappresentare agli occhi degli altri.
Cinema e letteratura quanto influenzano la tua ricerca?
Da molto tempo espressioni dell’arte influenzano la mia produzione musicale. Ma non solo. Se non leggi, non viaggi, non vedi, non parli con le persone non puoi, poi, raccontare nulla. Ci si deve immergere nella realtà che ci circonda e coglierne le espressioni che poi potrai tradurre. Letteratura e cinema sono tra i nutrimenti di questa indispensabile curiosità e lo stile delle creazioni ne viene influenzato. Io sono un ammiratore della prosa di George Simenon. È uno scrittore dotato di un grande qualità: la sintesi. Nei suoi romanzi riesce a trasferire al lettore con dieci parole l’ambientazione del suo racconto e la presenza dei suoi personaggi. Questo è un superbo modello che si può trasferire alla musica. In un brano devi essere sintetico e devi suscitare i maggior numero di sentimenti con il minor numero di parole. La letteratura è quindi, come nel caso di Simenon, un’eccellente base per esercitare la capacità di sintesi, così come lo è la traduzione dei testi in altre lingue. Quando scrivo un testo penso a come sarebbe tradotto in lingua inglese pensando alla versione di un americano o di un inglese, ma penso anche a come lo scriverei in genovese. Non si può avere idea di quante volte il dialetto genovese mi ha permesso di “asciugare” un concetto. La sintesi quindi è elemento essenziale nella composizione letteraria di un brano e vale ovviamente anche per la percezione della musica che può essere immediata, evocare in un lampo sensazioni all’ascoltatore oppure ridondante, inconcludente.
Ma in definitiva la capacità di sintesi è un valore universale. Se si riesce a condensare con proprietà un pensiero, la nostra comunicazione viene compresa senza fraintendimenti dall’interlocutore.
La ricerca di nuovi versanti artistici da esplorare ti ha condotto, qualche tempo fa, a realizzare un album strumentale. Hai deciso di togliere le parole che tanto connotano la qualità del tuo lavoro. Qual è il motivo di questo esperimento?
Volevo capire se fossi stato in grado di raggiungere, di esprimere gli stessi sentimenti, la stessa profondità delle mie composizioni togliendo da questo lavoro un codice: il testo. Naturalmente, è stato un lavoro ascoltato da una élite. La Sony infatti l’ha pubblicato nella collana classica e non in quella pop, ma per me è stata un’esperienza estremamente istruttiva. Pensi di sapere molto della composizione ma quando lavori su di un progetto solo musicale compaiono suggestioni inaspettate. È stato un lavoro di ricerca molto formativo.
Cosa si aspetta il pubblico da un musicista. Quanto aspetti culturali, generazionali, personali condizionano le scelte?
Con il passare del tempo si crea con chi ti ascolta una specie di accordo costruito sulle stesse sensibilità. La mia visione in questo ambito è legata ad un’idea di continuità: seguitare a fare quello che senti nelle tue corde, ciò che sei capace di realizzare senza pensare al mercato. Facendo così una parte del pubblico si sintonizza con te perché la pensa allo stesso modo. Nel mio caso il numero di persone che mi ha seguito è stato cospicuo. Se riesci a creare un rapporto del genere anche quando cambi, sperimenti, costoro ti seguiranno, magari in qualche caso con difficoltà, ma ci saranno sempre. Se invece adotti l’idea di accontentare chi ti ascolta, progressivamente ti trasformi in un negoziante della tua musica, chi ti segue diviene solamente un cliente.
Il jazz fa spesso capolino tra i successi della musica leggera, quanto la influenza?
Il blues e il jazz sono i fondamenti della mia cultura musicale. Io ascolto normalmente musica jazz e ricordo, nell’agosto del 1970, di avere avuto la fortuna di ascoltare Duke Ellington a Genova, in uno dei più bei concerti che abbia mai sentito.
Jazz e blues sono sempre presenti in quella che viene definita musica leggera. Non in tutta, naturalmente. Peraltro, la definizione di “leggera” per un certo tipo di musica è impropria. Vi è della musica pop di grandissima levatura. Paul Simon, James Taylor, Randy Newman sono dei grandissimi musicisti, nella loro musica e in qualche angolo della mia, blues e jazz compaiono. Tracce spontanee di una relazione culturale profonda.
La musica come elemento di sensibilizzazione sociale…
Si può scrivere musica solo per meri fini commerciali o per condividere anche idee per un pubblico che è sempre trasversale. Le persone che ascoltano “Mio fratello che guardi il mondo” sono le più differenti. Non vi è nell’ascolto un’adesione per motivi politici o di altro genere, un certo tipo di musica, di testi viaggiano ad una velocità incredibile e raggiungono persone che tu non immagineresti mai tra il tuo pubblico. E questa è la mia grande soddisfazione.
L’utilizzo di strumenti proposti in modo non tradizionale è un aspetto rilevante nella tua ricerca tesa verso un’offerta di grande qualità anche sonora
Nella musica cosiddetta leggera o pop, spesso sembra semplice ciò che non è. I grandi autori che citavo precedentemente hanno composto musiche che, all’orecchio del grande pubblico, sembrano semplici ma nell’esecuzione risultano molto complesse. Non è un caso che questi artisti si circondino di musicisti di grande livello che poi eseguono con loro i brani. È ovvio che tutto questo richieda un insieme di interventi che hanno sempre l’obiettivo di essere poi comprensibili fruibili da chi ascolta. Non bisogna ferire l’orecchio e la sensibilità del pubblico. Però, se sottotraccia c’è una sapienza musicale, ciò è bene perché questa musica verrà apprezzata sia da chi ascolta con superficialità sia dai più sensibili ed esperti. Tornando all’innovazione in campo strumentale, con l’album “La pianta del tè”, tentai qualche innovazione. Organizzai una formazione che ebbe molto successo, grazie anche alle note di un oboe suonato in maniera modernissima, alle sottolineature di un’arpa, alle percussioni di Trilok Gurtu, oltre ad un basso e una batteria. I suoni che proponevamo erano totalmente diversi, nuovi rispetto a ciò che avevamo sentito fino a quel momento. Questa proposta ebbe un diffuso gradimento perché si capì che la musica poteva contare su sonorità diverse, evocando scenari diversi. Questa intuizione ha introdotto un modo nuovo di fare musica, un modello che poi ha visto diversi tentativi di imitazione.
Intelligenza artificiale e musica. La composizione dei robot è la musica perfetta per la generazione dei “connessi”?
Oggi, in una produzione musicale, la tecnologia interviene in modo massiccio. Chi ascolta non può immaginare quante applicazioni lavorino contemporaneamente quando si mette a punto un brano musicale. Questa è la tecnologia che io apprezzo, utile e silenziosa. Oltre ciò, c’è l’umano con la sua creatività, la sua voce, la sua interpretazione. È possibile che in futuro la tecnologia non rimanga dietro le quinte, a supporto, ma si proponga in primo piano sostituendo tutto quello che noi sappiamo fare, è possibile.
Di recente, coerentemente con la tua idea di sperimentare conoscere e percorrere nuove strade, hai scritto il romanzo, “Tretrecinque”
Io non sono uno scrittore. Questa era una storia che volevo raccontare, perché in parte vera in parte frutto di fantasia, ma sapevo che sarebbe stata un unicum. Questa è la storia di musicisti di passaggio. Coloro che dagli anni quaranta hanno vissuto in un mondo nel quale erano più suonatori che musicisti. Il protagonista va in America ma viene da un mondo antico ed è qui che si evidenzia la sua fatica. Ho scritto questa storia perché mi ci ritrovo, la sento profondamente mia e l’ho voluta condividere con i lettori.
La sperimentazione nell’immagine per la produzione discografica è un altro elemento distintivo nella qualità di un’opera. Sulla copertina di un tuo album di grande successo c’è la fotografia di un locomotore simbolo delle nostre ferrovie, l’E 428.Un simbolo della tecnologia prebellica. Perché quella scelta?
Le copertine di un album sono parte integrante ed elemento sostanziale per la promozione di quest’ultimo. Anche in questo caso si usano dei codici, come dicevamo, per aspetti grafici ed iconografiche vanno assolutamente rispettati. L’immagine per una creazione musicale deve essere coerente con l’idea che sottende a quel progetto. Per questo motivo mi sono sempre occupato delle mie copertine dei miei album con i grafici che poi hanno reso concretamente la mia idea. Ed è il caso di questa copertina dell’album “Lampo viaggiatore”.
Il tempo, c’è ancora tempo?
Il tempo è una mia fissazione. Mi fa molto soffrire vedere le attrici che amo, invecchiare; le auto che sembravano all’avanguardia, diventare obsolete. Combatto questa sottile sofferenza guardando al futuro, anche a quello immediato, voltando le spalle al passato, cercando di vedere quanto di buono sta arrivando. Continuo a scrivere canzoni per i miei colleghi e cerco di farlo bene. Continuo a studiare la musica, la chitarra, il pianoforte. La cosa meravigliosa della musica è che la ricerca non finisce mai. Più apri nuove porte più trovi nuove opportunità d’espressione. Per continuare a meravigliarmi continuo a ricercare.