Il rapporto tra lavoro e innovazione nella storia
Storicamente il rapporto tra lavoro e innovazione non è dei più facili. Anche oggi, mentre il mondo corre verso l’automazione e la trasformazione digitale sta pervadendo in misura sempre più ampia la vita di imprese e cittadini, sono molti coloro che legittimamente si chiedono quale sarà il futuro del lavoro e dell’occupazione. Con la diffusione delle tecnologie e delle macchine innovative come farà l’uomo a preservare il posto di lavoro?
L’interrogativo tocca molti aspetti complessi e viene indubbiamente avvalorato dal convergente invecchiamento della popolazione mondiale e dai cambiamenti verticali, che a differenza delle rivoluzioni industriali passate non lasciano spazio per chi rimane indietro. La Storia però, insegna che l’uomo sopravvive se trasforma i risultati del progresso tecnologico in effettivo progresso economico e sociale. Ciò non deve risuonare retorico, bensì deve richiamare l’attenzione su una parola magica: istruzione.
Attraverso un ampliamento diffuso del patrimonio di conoscenze infatti, anche l’avvento dei robot nelle imprese e nella vita quotidiana, potrà accompagnare la società al pieno sfruttamento delle nuove potenzialità tecnologiche, sanando le diffidenze di chi non crede in questo filone positivista.
Il processo però sarà vincente solo se favorito attraverso politiche adeguate, capaci di investire sulla formazione e sull’aggiornamento delle competenze, coniugando le necessità accademiche con quelle industriali. Quando si parla di “politiche” non si intendono specifici provvedimenti e/o finanziamenti, bensì un cambio di mentalità e paradigma, che parta dalle aziende, dai centri di ricerca e dagli Stati stessi, per attivare una vera “riconversione del sapere”.
Sono fondamentali politiche tecnologiche tese ad essere sistemiche, in grado di essere non solo orientate alla ricerca e allo sviluppo, ma anche di favorire il processo, spesso lungo e faticoso, di diffusione delle tecnologie nella società, affinché le innovazioni siano prima accettate e poi desiderate. Le nuove tecnologie, possono e devono essere un ponte tra il vecchio e il nuovo, un canale tra generazioni differenti, un incrocio tra invenzione e tradizione. Lo sviluppo di questo tipo di intelligenza collettiva inoltre, agendo come distributore di potere, può trasformarsi in elemento di salvaguardia delle democrazie nelle complesse società del prossimo futuro.
L’obiettivo auspicato nel lungo periodo è quello di un nuovo “umanesimo tecnologico”. Un’ibridazione nella quale macchine e persone siano gli alleati della nuova rivoluzione, che si viene a delineare – oltre che tecnologica ed economica – soprattutto culturale. In perfetto accordo con le scienze sociali e la teoria Schumpeteriana, non è l’innovazione in sé che va osservata ma il suo indirizzo di diffusione e la sua incidenza sull’ambiente e il contesto sociale.
A fronte di questo non si può che accogliere positivamente l’azione e l’indirizzo che viene messo in campo in ambito europeo dalla proposta della Commissione Ue. Il piano “Europa Digitale” pensato dalle istituzioni europee prevede un programma da 9.2 miliardi di euro, che vedrebbe concretizzarsi nel periodo 2021-2027 una serie di investimenti in settori strategici quali il calcolo ad alte prestazioni, l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza, le competenze digitali e l’uso delle tecnologie digitali nell’economia e nella società.
La strada, immaginata e tracciata dall’Unione Europea, punta a favorire l’evoluzione e la diffusione delle nuove tecnologie, accompagnando alla ricerca e allo sviluppo gli elementi della formazione e della diffusione, al fine di riequilibrare il gap di conoscenze e di riavvicinare la centralità dell’uomo alle macchine, in una costante condivisione e contaminazione tra la tecnologia e il suo ambiente circostante.
Andrea Visentin è responsabile segreteria generale e comunicazione Start 4.0