Un altro riconoscimento internazionale per il rivoluzionario metodo “Car – Parrinello”
Il Franklin Institute di Philadelphia ha assegnato la prestigiosa Benjamin Franklin Medal in Chemistry all’illustre professore Michele Parrinello (USI, ETH Zürich, e IIT Genova), e al collega professore Roberto Car (Princeton University), lo scorso 20 aprile.
Un ulteriore premio per il rivoluzionario metodo “Car – Parrinello” che unisce il calcolo dell’energia degli elettroni con la simulazione in tempo reale della dinamica molecolare, divenuto indispensabile dal 1985 in poi per tutti i fisici della materia, per i chimici e anche per i biologi.
La Benjamin Franklin Medal ha visto tra i premiati anche nomi come Thomas Edison, Marie Curie, Nikola Tesla, Stephen Hawking, i fratelli Wright, Bill Gates e Albert Einstein.
Professore, cos’è successo nel 1985 dopo la scoperta insieme al collega Car del metodo “Car – Parrinello”. Cos’ha rappresentato per lei nella sua carriera e nella sua vita?
Innanzitutto, vorrei precisare che Roberto oltre ad essere ovviamente un collega è, prima di tutto, un amico. Naturalmente è stata svolta decisiva nella mia carriera ed un momento magico. Ero non dico un semi-sconosciuto perché nel campo più ristretto in cui operavo ero già abbastanza noto. Ricordo che all’epoca non c’era internet, ed i preprint circolavano sotto forma di fotocopie che venivano faxate I fax utilizzavano una carta trattata chimicamente che faceva una puzza terrificante! E dovunque andassimo vedevamo sulle scrivanie dei colleghi copie puzzolenti del nostro lavoro, religiosamente sottolineate. Questo fu solo l’inizio di una serie di inviti ed in seguito arrivarono molti riconoscimenti. Roberto ed io però non pensavamo a questo futuro, ma alle molte ricerche che grazie al nostro lavoro si sarebbero potute fare.
E poi ero molto più giovane, quindi una combinazione di tutti questi fattori mi ha lasciato un ricordo quasi mitologico di quel periodo.
Quando ha realizzato che stava rivoluzionando buona parte della carriera dei suoi colleghi?
Più o meno subito, in quel periodo. Tutta questa eccitazione che c’era in giro era l’indicazione che eravamo sulla strada giusta. Non era certo la relatività! ma insomma un nuovo modo di fare i conti, che apriva nuove prospettive. Questa sensazione fu quasi immediata. Ma questo non ci distrasse da quello che volevamo fare.
Cosa serve di più tra dedizione, studio e fortuna per arrivare a raggiungere risultati di così alto livello? Per lei cosa ha pesato di più?
Ci vuole sia dedizione, che studio ed in maniera importante anche fortuna. Difficile dire quale sia stato l’ingrediente più importante del nostro successo. Se si ha passione ed amore per quello che si fa il lavoro ed i sacrifici non pesano. Però ci vuole anche fortuna. Se non ci fossimo trovati io e Roberto al momento giusto insieme a Trieste probabilmente l’idea del metodo non sarebbe venuta, o sarebbe venuta più in avanti nel tempo. Queste cose non si possono programmare. Ma nella vita si fanno ogni tanto incontri fortunati, e io ho avuto la fortuna di incontrare grandi scienziati che hanno giocato un ruolo importante nella mia vita. Sicuramente Roberto è stato uno di questi.
Com’è cambiato il modo di far ricerca da quando ha iniziato? Si parte più da un’idea nel vecchio concetto romantico galileiano, da una domanda, oppure è il trend della richiesta a determinare la scelta delle ricerche su cui focalizzarsi?
Io vengo da tempi culturalmente lontani, e quindi l’atteggiamento mentale mio è quello tradizionale. E questa rimane la mia motivazione principale. Però, tra le varie cose che ho fatto, ho lavorato anche in un’industria, l’IBM, e quindi non sono insensibile all’aspetto applicativo della ricerca. I problemi pratici sono molto difficili e forniscono una motivazione assai forte. Sono noto per aver sviluppato diversi metodi di calcolo. Ma i metodi sono nati dalla necessità di risolvere dei problemi. Anche il Car-Parrinello è nato così.
Cos’è cambiato in questi anni nei giovani ricercatori? Li trova più spaesati o più decisi?
Devo dire che ho la fortuna di lavorare con ragazzi e ragazze bravissimi, motivati e decisi. Se posso essere un po’ faceto, vorrei notare che una differenza importante con il passato è che i ragazzi erano molto impacciati nei rapporti con l’altro sesso. Esattamente come nella sitcom “The Big Bang Theory”! Ora questo per fortuna non succede più.
Cosa raccomanderebbe oggi a un giovane ricercatore italiano?
È un mestiere il nostro in cui viaggiare e confrontarsi con gli altri è importante. So però che, una volta lasciata l’Italia, non è facile tornare, ma è un rischio che bisogna correre. Inoltre, è fondamentale non aver paura di andare per sentieri mai prima calcati.
Professore come avete vissuto con il suo gruppo le settimane di lockdown in Svizzera?
Apparentemente siamo andati avanti come prima. Avevamo certi riti come, per esempio, il prendere il caffè insieme alle 10:00 e l’abbiamo continuato a fare su Zoom. Le ricerche sono progredite regolarmente dato che noi non facciamo esperimenti in laboratorio, ed i computer e le comunicazioni internet hanno funzionato. Però, questo modo di lavorare ha i suoi limiti. Ora qui in Svizzera da un mesetto circa le cose si sono abbastanza normalizzate, sono potuto tornare in ufficio con tutte le dovute precauzioni.
Discutere dei problemi di persona permette una comunicazione più efficace e favorisce il nascere di nuove idee.
Come trascorre il suo tempo quando torna in Sicilia e cosa le piace del tornare a casa?
Qualcuno ha detto che puoi andare via dalla Sicilia ma che la Sicilia non può andare via da te. Questo legame è fatto di mille fili sottili e difficili da tagliare. Il ricordo delle estati passate in campagna. Il suono del dialetto, i sapori del cibo, il calore e la profondità delle amicizie. Ma anche cose più minute come la granita consumata in una mattina in cui la forza del sole fa presagire la vampa del mezzogiorno, o l’odore del gelsomino nelle notti d’estate. Quando sono giù, ahimè non con la frequenza che desidererei, cerco di rivivere, per quello che posso, tutte questa sensazioni e mille altre ancora, e mi piace guardare dalla terrazza di mio fratello lo stretto di Messina e sentirmi in maniera indissolubile figlio di questa terra.