Il 2015 ci consegna un’eredità importante: i segni di un risveglio che non dobbiamo sciupareIl 2015 ci consegna un’eredità importante: i segni di un risveglio che non dobbiamo sciupare.Mi occupo da anni di Technology Transfer, ossia di quell’insieme di attività che facilitano la traduzione di un ritrovato scientifico in un prodotto o servizio fruibile da aziende e consumatori, e ho il privilegio di lavorare con scienziati di straordinaria qualità all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). È un mestiere di frontiera per molti aspetti. Operiamo infatti al confine tra la ricerca e il mercato, lungo quel sentiero che porta tecnologie dalle eccezionali potenzialità ad incontrare i bisogni di consumatori ed aziende, trasformandosi lungo il percorso per diventare prodotto. È un sentiero di confine tra differenti mentalità, linguaggi, strumenti ed aspettative, ed è un percorso che inizia in grande solitudine per quei ricercatori che scelgono di intraprenderlo.“Se avessi chiesto alla gente cosa voleva, mi avrebbero risposto: cavalli più veloci.” — Henry Ford Il passaggio da invenzione a innovazione non solo non è ovvio, ma richiede un enorme sforzo in capitale umano, imprenditoriale, finanziario, un adeguato quadro normativo e, soprattutto, una grande capacità relazionale.È in questo quadro che, pur con moltissime difficoltà, registro i segnali di un risveglio del Paese ai temi essenziali dell’innovazione.Sul piano normativo, ad esempio, nel corso degli ultimi anni si è assistito ad una serie di interventi mirati a creare migliori condizioni per chi opera nel settore delle nuove imprese tecnologiche: alla legge sulle start-up innovative del 2012, che introduceva agevolazioni fiscali per chi investe in nuove imprese tecnologiche, nel 2015 muove i primi passi il cosiddetto Patent Box, la legge che introduce una nuova agevolazione per lo sfruttamento di opere d’ingegno. Questi e molti altri interventi hanno contribuito a creare un quadro normativo favorevole agli investimenti in start-up tecnologiche[SM1] . Tuttavia, il sistema del capitale di rischio italiano mostra una pericolosa arretratezza rispetto al resto d’Europa: gli investimenti complessivi in Italia sono stati inferiori a €100 milioni per le tecnologie emergenti e destinati soprattutto all’ecosistema digitale. Il settore del Venture Capital vale lo 0,002% del PIL, ampiamente in ritardo rispetto a Francia, Germania e UK, ma anche rispetto a nazioni meno industrializzate come Spagna, Austria e Polonia. Resta un segno incoraggiante a livello europeo il fatto che i cosiddetti fondi early stage nel 2014 hanno raccolto €2,3 miliardi, il livello più alto degli ultimi sei anni (cfr. European Venture Capital Association). In Italia, l’intervento del Fondo Italiano d’Investimenti ha agevolato l’avvio di nuove realtà dedicate ad investire in innovazione nel 2015, e sul fronte dei Business Angel si registra crescente attivismo e capacità d’investimento.Il sistema delle imprese, notoriamente parcellizzato in una moltitudine di realtà medio piccole, resta ancora ai margini dell’ecosistema delle start-up innovative, e questa è davvero un’occasione mancata (finora) per il nostro Paese. L’enorme capacità industriale espressa dall’Italia nelle sue PMI potrebbe diventare un asset vincente per i moltissimi giovani che si accingono a portare idee nuove sul mercato. Ma la ridotta dimensione e, in molti casi, una mentalità non pronta ad accogliere idee dall’esterno, porta le nostre imprese a concentrarsi sul proprio lavoro senza investire energie nel rapportarsi con i centri di ricerca del Paese. Anche qui gli interventi normativi sono stati orientati ad abbattere alcune barriere (si veda ad esempio il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca), e probabilmente servirà del tempo per consentire alle imprese di adottare un metodo di lavoro orientato alla cosiddetta open innovation (senza considerare che anche il sistema della ricerca dovrà imparare a sfruttare questa occasione!).Da ultimo, in un quadro generale che sembra volersi risvegliare, è fondamentale guardare ai diversi settori tecnologici con molta attenzione. Un paese che ha una capacità manifatturiera secondo solo alla Germania in Europa, non può pensare di prescindere da innovazioni nei settori della robotica, della scienza dei materiali, delle scienze della vita e dell’alimentazione. Si tratta di settori che scontano dinamiche diverse dal mondo dei servizi digitali, sia in termini di sviluppo prodotto che di fabbisogno finanziario. Lo sviluppo di una piattaforma robotica richiede alcuni milioni di euro per giungere ad un primo prototipo, e almeno dieci volte di più per la sua industrializzazione e commercializzazione. Non è pertanto secondaria la disponibilità di capitali capaci di intervenire in questa fase, assumendo un rischio che sarà pienamente ripagato: le tecnologie che impattano il ciclo manifatturiero hanno generato sempre ritorni duraturi nel tempo. È sull’onda di queste considerazioni che all’IIT abbiamo lavorato molto per strutturare un portafoglio di start-up e idee d’impresa che sta crescendo e comincia a dare i propri frutti. Ad esempio, l’imminente avvio di una società dedicata alle applicazioni del grafene aprirà la strada ad una nuova generazione di materie plastiche, promettendo benefici su una enorme varietà di applicazioni industriali. O ancora vedere il progetto della microturbina, già premiato sui circuiti della SmartCup Liguria e del PNI, finalmente in test su una centrale a metano dopo due anni passati tra ingegnerizzazione e certificazione sono segnali che ci danno motivo di guardare ai prossimi mesi con ottimismo.Vittorio Pellegrini, Direttore Graphene Labs IIT