Intervista a Stefano Gustincich, Deputy Director per la divisione di Technologies for Life Science di IIT
Almeno fra gli addetti ai lavori non è un segreto che Stefano Gustincich sia stato uno dei principali ideatori e redattori del progetto Human Technopole. Il tour di force è avvenuto nell’agosto del 2015, con l’allora direttore IIT Roberto Cingolani che gli stava alle calcagna quotidianamente.
Molta acqua, limacciosa e a tratti burrascosa, è passata da allora. Oggi il genetista Stefano Gustincich è il Deputy Director per la divisione di Technologies for Life Science dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che comprende 35 gruppi di ricerca composti da un totale di 300 persone. Fra le sue creature, una facility di genomica presso il Center of Human Technologies di Erzelli al cui interno si trova il Central RNA Laboratory che condivide con Irene Bozzoni, Gaetano Tartaglia e Andrea Cavalli e un Joint lab pronto per partire con l’Ospedale Infantile Gaslini di Genova per inserire l’analisi genomica nella pratica diagnostica ospedaliera. E fra i nuovi progetti, assieme ad Andrea Cavalli, va ricordato il Centro di medicina personalizzata preventiva (CMP3) di Aosta, che l’IIT sta mettendo in piedi con un budget di 15 milioni di euro insieme alla Città della Salute di Torino, l’azienda Engineering D-HUB, l’Università e l’Osservatorio astronomico locali.
L’obiettivo è di sequenziare 5.000 genomi di pazienti valdostani in collaborazione con l’ospedale Parini di Aosta per dar vita a un grande progetto di genomica medica e computazionale volto a personalizzare le cure in campo oncologico, neurologico e di neuropsichiatria infantile. Conoscere le varianti geniche di questa popolazione, infatti, potrà rendere più precise e appropriate le terapie. Almeno questa è la scommessa. Per far questo – Covid permettendo – si prevede la costituzione di una biobanca che alimenterà le successive ricerche computazionali e tradizionali per arrivare a questo risultato, che per molti versi richiama l’ispirazione originaria di Human Technopole.
Gustincich non sta mai fermo, e immaginiamo ora con che salti mortali tenga insieme il suo impegno all’IIT di Genova, la sua vita famigliare a Trieste (dove è anche professore in congedo alla Sissa), il progetto valdaostano e l’attività della startup IIT Transine Therapeutics di Cambridge, che ha fondato alcuni anni fa per mettere a punto nuovi farmaci a RNA.
Le cure RNA sono il suo mantra, la pietra filosofale che lo ossessiona da una ventina d’anni. Da quando, con un PhD in biologia molecolare alla Sissa di Trieste si è andato a specializzare ad Harvard con una borsa EMBO. Il suo ritorno in Italia avvenne grazie alla vincita del prestigioso Career Developmental Award della Fondazione Armenise-Harvard per penetrare i misteri della post-genomica. L’ho incontrato per un paio d’ore in un bar della Stazione Centrale di Milano il 21 febbraio, il giorno del primo caso autoctono di Covid ricoverato all’Ospedale Sacco. C’era il sole, si viaggiava e ci si divertiva ancora. Stefano era come al solito in transito, e davanti a un hamburger mi ha introdotto ai rudimenti della medicina a RNA.
“Tieni presente che i farmaci tradizionali sono concepiti come modificatori di proteine, ma ne riescono a raggiungere meno di un migliaio, il 4% del totale. Le terapie attuali sono quindi molto limitate, estremamente costose e poco specifiche, tagliando fuori peraltro buona parte delle malattie rare. Di fatto considerano solo il 5% del genoma, deputato a codificare proteine, mentre fino a qualche decennio fa si pensava che il restante 95% fosse spazzatura, il cosiddetto junk DNA. Ma è almeno dal 1974, con i lavori di Klein, che noi sappiamo che questa ‘spazzatura’ in realtà viene trascritta in RNA che può rivelarsi utile per nuove terapie”.
Alla fine degli anni Novanta, prima con la scoperta del micro-RNA quindi della RNA interference e in seguito con la scoperta degli RNA non codificanti per proteine, si apre l’orizzonte di nuove terapie. Il principio era apparentemente semplice. Riassume Gustincich: “L’RNA è costituito da sequenze più o meno lunghe di quattro basi che possono essere recapitate nell’organismo dei malati per accoppiarle ai geni malfunzionanti. In alcuni casi questi geni mutati non producono le proteine richieste, oppure ne producono quantità insufficienti perché solo uno delle coppie di geni sul DNA funzionano correttamente (fenomeno noto come aploinsufficienza). In altri casi i geni producono proteine in quantità tossiche o mutate, che provocano la malattia. In altri casi ancora, a funzionare male non sono i geni che codificano per proteine, ma regioni del genoma che hanno funzioni regolatorie. L’RNA nelle sue varie forme costituisce quindi una straordinaria opportunità di modificare l’espressione genica in vivo producendo nuovi farmaci. Si tratta di una soluzione molto specifica perché l’RNA agisce senza modificare il genoma ma riuscendo a modificare in un senso o nell’altro la produzione delle proteine, per esempio degradando l’RNA messaggero che è il principale tramite per la loro produzione, oppure agendo direttamente su particolari RNA (come i microRNA) coinvolti in processi fisiopatologici. Ed è una terapia scalabile, in quanto basta cambiare la sequenza di basi dell’RNA per mirare altri geni”.
Per una quindicina d’anni la terapia a RNA resta però senza frutti, e all’entusiasmo iniziale segue la delusione. Venti anni di catalogazione e studio delle varie forme di RNA hanno costituito la base teorica per immaginare terapie che si scontravano però con la difficoltà di recapitare i trascritti a destinazione, vale a dire nelle cellule da curare. “In questi anni c’è stato un gran lavoro di identificazione, isolamento e comprensione del funzionamento di nuove molecole di RNA, in particolare di quelle non codificanti per proteine. Poi abbiamo dovuto imparare a modificarle in laboratorio e formularle per farle diventare farmaci“ continua Gustincich. “Come spesso accade in medicina, le grandi rivoluzioni teoriche generano un grande entusiasmo ma poi richiedono molto tempo per portare a risultati concreti. Questo momento è arrivato: nel 2018, negli Stati Uniti e in Europa, e’ stata approvata la prima terapia a base di RNA per l’amiloidosi ereditaria – un disturbo potenzialmente fatale in cui le proteine anomale si accumulano nei nervi e in organi come il cuore. Ma sono oramai molte le terapie RNA in fase di sviluppo, e circa una ventina in fase di trial clinici”.
Gustincich studia principalmente le malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson e SLA, così come i disordini del neurosviluppo con base genetica (disturbi dello spettro autistico, schizofrenia, epilessia), e le centinaia di malattie rare ereditarie del sistema nervoso. Anche in questo settore si stanno vedendo i primi risultati.
È il caso, per esempio di tre farmaci che sfruttando il meccanismo della RNA interference sono in grado di far produrre la proteina che può salvare i bambini affetti dalla forma più severa di atrofia muscolare spinale (SMA I) che può portarli a morte entro il secondo anno di vita.
“La sfida è curare malattie come Parkinson e Alzheimer che resistono a ogni terapia” spiega Gustincich. “I motivi di questa difficoltà sono vari, come la non chiara comprensione di ciò che le innesca, le loro eterogeneità così come la presenza della barriera ematoencefalica che non fa entrare facilmente i farmaci, ragione per cui si è dovuto ricorrere a somministrazioni intranasali o intratecali (con accesso diretto all’encefalo). Tuttavia, si è visto che questo processo può essere reso efficiente mediante l’uso di particolari vettori come Adenovirus inattivati”.
Per queste malattie del sistema nervoso vale una metafora presa in prestito dalla filosofia cinese: lo Yin e lo Yang. “La Yin consiste nell’utilizzare molecole terapeutiche come small interfering RNA o oligonucleotidi antisenso per inibire l’espressione di geni malfunzionanti, riducendo per esempi la produzione di proteine tossiche. Lo Yang invece fa l’opposto: somministrando diverse molecole di RNA si va a stimolare l’espressione di geni affinché producano una maggiore quantità di proteine, o agiscano su altri meccanismi tesi a ristabilire una corretta omeostasi cellulare. In questo contesto, le molecole di RNA non codificanti che abbiamo isolato nel nostro laboratorio, chiamate SINEUP, possono rappresentare una nuova strategia terapeutica scalabile anche per malattie rare”.
A monte di questi impieghi della nuova medicina a RNA, che ogni anno sforna nuove promettenti molecole, c’è un mastodontico lavoro di cartografia del genoma umano. Di certosina catalogazione delle migliaia di trascritti. Di osservazione e studio delle loro caratteristiche. Di modifica e riproduzione in laboratorio delle molecole più promettenti e della loro formulazione terapeutica. Infine, della messa a punto di “postini” (siano essi virus modificati o speciali nanoparticelle) capaci di portare quel pugno di basi nelle cellule malate dei pazienti. È questo il lavoro quotidiano che si svolge nel Laboratorio centrale RNA e in altre divisioni dell’IIT.
L’intervista è finita, Gustincich deve riprendere il treno verso Genova. Mentre lo accompagno ai binari gli chiedo se questa competenza nella biologia dell’RNA sviluppata da IIT potrà servire anche per capire meglio la bestia che ora ci tiene tutti chiusi in casa, il SARS-CoV-2, un virus a RNA appunto. Il treno è partito senza che ci fosse tempo per una risposta. Ne parleremo in un prossimo articolo.