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“L’illusione di essere invincibili è infranta, e torna il lieto senso della misura e del limite”

Intervista a S.E Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo metropolita di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Europea

Voci dalla Città

In un momento di forte apprensione per il nostro futuro siamo certi che, oltre nei centri decisionali centrali, anche in quelli locali si stia lavorando per uscire dal buio nel quale ci ha relegato la pandemia. Vogliamo raccontarvi, attraverso le testimonianze dei nostri concittadini, come stiamo reagendo e come Genova e tutti colori che ci vivono e lavorano vinceranno questa battaglia.


Eminenza l’emergenza sanitaria in corso ha colpito duramente al cuore tutta la società civile. La sfida più impegnativa riguarda soprattutto gli operatori sanitari. Ma nella quotidianità tutti noi siamo chiamati a dare un contributo importante.

Il mondo si è trovato di fronte a qualcosa che è più grande di lui e che non conosce. E’ stato rovesciato, e tutti siamo brutalmente ricondotti alla nostra fragilità. Il mito di sentirci invulnerabili è smascherato da qualcosa di invisibile che sembra, secondo alcuni esperti, capace di un adattamento repentino e traditore. La forza della ragione è messa a dura prova: alla fine vincerà, ma non dovrà dimenticare. E sarà segno d’intelligenza. Come accade nelle sciagure, emerge il meglio dell’uomo; si sprigionano energie che sembravano dormienti, ma pronte ad esplodere. E’ così anche oggi: ce ne accorgiamo davanti a quanti si prendono cura dei malati con competenza e con un di più che si rivela il farmaco più necessario e desiderato: il cuore, la vicinanza, l’attenzione, il gesto e la parola, lo sguardo e la silenziosa preghiera accanto a chi soffre. Costoro lottano con i malati, e sono dei combattenti contro un’ombra che sembra imprendibile e beffarda. Loro, come i molti delle forze dell’ordine, coloro che assicurano i beni essenziali, i volontari, fanno il loro dovere; ma c’è modo e modo per farlo. Qui sta la differenza tra il lavoro come missione e il lavoro come affermazione di sé, o semplice mezzo si sussistenza. Accanto a loro, dobbiamo esserci tutti, poiché o si soffre insieme o non si salverà nessuno: non è solo questione di sopravvivere, è questione di dar prova di ciò che ognuno è, della propria umanità, del proprio essere seri e responsabili gli uni degli altri. Seguire tutti le misure rivela questo.

In particolare, le famiglie sono coinvolte in prima linea nell’affrontare questa situazione di emergenza. Dalla gestione della quotidianità all’impegno, insieme al corpo docenti, di portare avanti i programmi scolastici attraverso l’insegnamento a distanza. La tecnologia diventa un’opportunità?

Ancora una volta la famiglia rivela se stessa: il perno della società, lo zoccolo duro della convivenza, il punto saldo dei singoli e della collettività. Serrare i denti, resistere nei confini necessari, la rinuncia forzata alla normalità del lavoro, l’impossibilità di partecipare alla liturgia della fede, l’impedimento a vedere volti cari… trovano nell’alveo familiare non solo il punto di aggregazione, ma anche la ricarica morale, la forza dello spirito per non arrendersi, e la fiducia per guardare al futuro. Capisco che non sempre e non ovunque è così: tutto deve essere conquistato giorno per giorno in una contiguità di rapporti che è nuova, ma il volto naturale della famiglia è questo. Essa è il punto fermo nello smarrimento generale, in un’ora dove ciascuno va a tentativi anche quando esibisce sicurezza di vedute e determinazione di decisioni. Anche nell’ambito della scuola emergono alternative modali che non erano sconosciute, ma la cui applicazione non era molto diffusa, almeno nel nostro Paese. In questo frangente, la tecnologia manifesta il suo volto prezioso. Bisogna saperla piegare sempre al bene.

L’utilizzo di nuove tecnologie in questo momento sta dando una mano operativa significativa anche alle aziende con il cosiddetto lavoro agile o smartworking. Come crede che cambierà il mondo del lavoro anche alla luce di questo incremento dell’utilizzo della tecnologia?

Come dicevo, le nuove tecnologie segnano un passo avanti nello sviluppo della civiltà. Purtroppo riguardano ancora solo una piccola parte del mondo. Tocca all’occidente fare in modo che la loro diffusione non sia solo un profitto per sé, ma vada anche a vantaggio dei popoli in difficoltà sotto il profilo agroalimentare, sanitario e lavorativo. Venendo alla domanda, il mondo del lavoro sta cambiando, e il tempo della pandemia ha costretto ad accelerare il processo. Si potrebbe dire che ha forzato la gran parte a misurarsi maggiormente con questi mezzi. Mi sembra che abbiamo superato l’esame. Questo è certamente positivo. Anche per la scuola – a tutti i livelli – sono stati una buona opportunità. Come in ogni cosa, dobbiamo essere attenti affinché la macchina non sostituisca l’uomo in modo indebito, che il gusto delle relazioni personali dirette rimanga e cresca. Comunque, le applicazioni, specialmente in alcuni campi, sono sempre più auspicabili.

Anche dal punto di vista sociale più ampio l’utilizzo di piattaforme on-line e la divulgazione di contenuti multimediali stanno aiutando tante persone che vivono in solitudine. Anche la Chiesa sta utilizzando questi mezzi per mantenere il contatto con la comunità credente?

Le ricadute sociali delle piattaforme on-line e altro sono sempre più evidenti. Torno ai Paesi più svantaggiati: la tecnologia non dovrebbe limitarsi a divulgare informazioni, ma favorire sviluppo e progresso, superare fame e malattie, miseria e ignoranza, totalitarismi politici e dipendenze di tipo coloniale. Anche la solitudine di molti può essere mitigata, senza mai abdicare al dovere e alla gioia di essere noi la prima compagnia: le megalopoli sono popolate di solitudini e di abbandono. Anche la Chiesa è ricorsa a questi strumenti: i sacerdoti hanno messo in atto la fantasia del bene per farsi presenti nelle loro comunità con la messa, piccole catechesi, rosario, preghiere. Sia per gli adulti e sia per i bambini, ragazzi e giovani. La gente ha molto apprezzato il loro sforzo perché nessuno si sentisse abbandonato, perché il pane dell’anima non venisse meno. La storia anche recente testimonia che interi popoli hanno resistito e lottato per la propria dignità pur mancando di tutto, ma avevano la forza dello spirito. E’ comunque fuori dubbio che tutti abbiamo desiderio di poter uscire e incontrarci come sempre. Sono certo che questo tempo di sofferta e necessaria distanza farà maturare una nuova consapevolezza dell’incontro e degli altri, della casa e della strada, del lavoro e della scuola.

Guardando oltre, secondo Lei, quali sono gli insegnamenti che dovremmo cogliere da questa esperienza e salvaguardare nella nostra memoria anche in futuro? 

Il coronavirus è un tragico terremoto. Davanti, però, abbiamo un’altra sfida, che non ruberà la vita a nessuno, ma che sarà decisiva sul piano antropologico. Sarà la sfida della memoria. La storia è fatta di tempo e di eventi, ed è maestra di vita: l’umanità dovrà mostrare quanto avrà imparato da dolore, paura, incertezza, sacrifici. La scuola del virus è brutale e gli insegnamenti sono molti: ognuno deve metterli a fuoco nella propria coscienza e scriverli sulle pagine dell’anima. E’ stato come risvegliarsi non da un brutto sogno, ma da un mondo di sogni; un risveglio alla realtà. Il morbo che dilaga, quasi una voce sinistra e beffarda, piega la presunzione, riconduce alla universale caducità e al significato. L’illusione di essere invincibili è infranta, e torna il lieto senso della misura e del limite, la consapevolezza che siamo mortali. Chiusi nelle nostre case, abbiamo modo di riscoprire la famiglia con le sue dinamiche, senza scappare; abbiamo ricompreso che l’amore è fatto di sacrifico, grembo di gioia. Anche la ragione umana, dono di Dio, forse ritrova se stessa: il suo compito è studiare e scoprire le cose, le loro leggi, perché servano l’uomo, ma deve farlo senza innamorarsi di se stessa, fino alla presunzione di potenza. L’indagine è aperta, ma deve misurarsi con l’etica, che valuta risultati, metodi e scopi. Penso che la ragione stia riscoprendo la sua finalità: non solo scoprire il “come” delle cose, ma anche il “perché” di tutto. La ragione strumentale e la ragione riflessiva non sono due realtà, ma l’unica intelligenza che agisce su un doppio registro. Tacitare l’uno significa azzoppare l’altro. Infine molti, in famiglia o da soli, pregano. Quando l’uomo tocca la sua vulnerabilità, più facilmente alza gli occhi verso il Signore. Non è un rifugio magico o un gesto di opportunismo religioso sull’onda del timore: è semplicemente seguire l’onda del cuore, piccolo, si, ma fatto per l’infinito. Per Dio. Anche questo è da ricordare.

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