Cerca
Close this search box.

L’angolo magico, grafene e nuovi materiali all’IIT di Pisa

Intervista a Camilla Coletti, Coordinatrice del Center for Nanotechnology Innovation (CNI@NEST) di IIT

La chiesa di S. Silvestro a Pisa, da tempo chiusa al culto, venne edificata prima del 1118 e affidata ai monaci benedettini di Montecassino. Successivamente, chiesa e convento vennero utilizzati dalle monache domenicane. Il convento divenne poi la prima sede della Scuola Normale Superiore fondata da Napoleone nel 1810. In questo luogo ricco di storia e cultura ha sede il Centro per l’Innovazione delle Nanotecnologie di IIT diretto da Camilla Coletti.

Camilla, ci offri qualche cenno storico sul Centro?

Il Center for Nanotechology Innovation (CNI) è nato nel 2009 con due matrici, la prima rivolta a materiali a bassa dimensionalità come il grafene, un materiale scoperto solo nel 2004 e di cui all’epoca si sapeva poco in Italia; la seconda matrice è quella della nanomedicina con la nanoteranostica per la diagnosi e cura del cancro con un progetto AIRC e un’altra branca che lavora sulle nanoproteine e sulle biostrutture. In questo centro lavorano circa 40 persone e siamo dotati di un apparato tecnologico di alto livello. Qualità delle persone e delle macchine sono un binomio che ci permette di guardare con grande fiducia al futuro.

Qual è il profilo dei tuoi ricercatori?

Siamo un gruppo multiculturale, i paesi di origine dei miei ricercatori ne sono la prova. Qui convivono finlandesi, lituani, russi, polacchi, etiopi, filippini, indiani. Ricercatori di nazionalità algerina, ucraina, coreana, irachena, tedesca, americana, turca sono stati con noi nel recente passato. Nei nostri laboratori le donne sono il 45% del personale. Una percentuale importante.

Da quanto tempo lavori in IIT?

Sono entrata nella Fondazione nel 2011 con il ruolo di post doc senior. Arrivavo dal Max Planck Institute dopo aver trascorso qualche tempo per seguire i miei studi in luoghi diversi del globo, da Zurigo per la tesi, alla Florida per il dottorato di ricerca e poi appunto a Stoccarda. Rientrare in Italia non è stato facile per tutti i motivi che ci sono ben noti. Del mio tentativo di rientro nel mondo della ricerca italiana ricordo il particolare che mi ha messo in contatto con IIT. Il mio periodo all’estero mi aveva abituata alla lingua inglese e quindi cercavo nuove opportunità che venissero proposte con questa lingua. E non trovavo nulla. L’unico job post in inglese era quello di IIT, applicai, feci un colloquio con Fabio Beltram, allora coordinatore del centro, e circa un anno dopo questi colloqui iniziai la mia attività al CNI. Nel primo anno di lavoro abbiamo messo a punto la strumentazione destinata alla sintesi del grafene ad alta cristallinità, un materiale molto pulito, molto performante, successivamente Vittorio Pellegrini avrebbe sviluppato in IIT gli studi dedicati agli inchiostri. Da quel periodo ad oggi si è sviluppato il mio percorso professionale: sono quindi divenuta researcher, poi sono entrata in tenure track e, dall’anno scorso, sono stata “stabilizzata”, come si usa dire nel nostro linguaggio interno, e ho assunto il coordinamento del Centro.

Dal Max Planck all’IIT. Come hai vissuto questo passaggio?

Venivo da una struttura che per quanto riguarda la ricerca rappresenta una tra le migliori opzioni mondiali, lavoravo nel dipartimento del premio Nobel Klaus von Klitzing e ho avuto l’opportunità di acquisire delle conoscenze determinanti per quanto riguarda lo studio del grafene, oltre ad entrare in contatto con esponenti di spicco della comunità scientifica internazionale. Mi mancava, però, il mio Paese e il bagaglio scientifico acquisito mi permetteva di lasciare Stoccarda. Quindi sono approdata tra gli archi del chiostro della Chiesa di S. Silvestro a Pisa dove ha sede IIT, trovando una eccellente dotazione tecnologica. IIT rispetto al Max Planck Institute mi ha permesso di crescere professionalmente e di avere responsabilità dirette quindi ho vissuto due fasi diverse della mia vita professionale senza rimpianti per la prima.

Ma il tuo importante impegno in IIT viene salutato da un fatto dall’incommensurabile valore umano: la tua maternità. Come sei riuscita a conciliare professione e famiglia?

È stato un momento difficile perché mi sono trovata a dover combattere con le asperità burocratiche che non mi permettevano spazi operativi durante la gravidanza. Ho cercato quindi, in quel periodo di essere proattiva individuando collaboratori validi che potessero aiutarmi. Così nel 2012 ho assunto Vaidas, lituano, allora come postdoc, oggi ancora nel gruppo come tecnologo su progetto, che ha iniziato a lavorare con me un mese prima che nascesse la mia prima figlia. In quel periodo mi era stato vietato per motivi di sicurezza l’accesso al laboratorio e dovetti chiedere diversi pareri di sanitari per poter continuare il mio lavoro. Probabilmente se non fossi stata tanto determinata in quel periodo ora non sarei qui.

La tua vicenda ci permette di approfondire un tema molto importante quello delle difficoltà che le donne devono ancora affrontare nel modo del lavoro. Oggi, qual è la tua sensazione?

Le cose stanno sicuramente migliorando seppur a piccoli passi. Vi è ancora una grande differenza tra quanto avviene in questo ambito nel nostro Paese e, per esempio, nell’Europa del nord dove i congedi parentali sono identici sia per la donna che per l’uomo. IIT si è attrezzata positivamente per tentare di modificare questo stato di cose con l’istituzione dell’inclusion and diversity office per poter dare ascolto alle esigenze delle minoranze, e sicuramente nel nostro ambito le donne lo sono. Oltre ciò, servono scelte da parte delle istituzioni del Paese per evitare, in particolare, che dinanzi alle difficoltà le donne abbandonino il lavoro.

Vi è una caratteristica che ti sentiresti di sottolineare nel descrivere un profilo tipo della donna ricercatrice?

La determinazione. Ti propongo un esempio a dimostrazione di questa affermazione. Nel corso della mia esperienza ho sempre osservato che le donne che intraprendevano il percorso universitario poi lo portavano a termine. Ad esempio, nel mio corso di Laurea eravamo in duecento al primo anno ridotti a trenta nell’ultimo anno, le donne erano sei all’inizio del corso di laurea e sei si sono tutte laureate. Le donne erano poche ma sicuramente molto motivate e come dicevo altrettanto determinate. Venendo poi all’esperienza lavorativa le donne sono spesso un elemento di equilibrio che giova alla gestione rilassata dei rapporti.

Torniamo al grafene. Oggi se ne parla come di un materiale conosciuto e utilizzato, la sua novità sembra annullata. Ma la ricerca sul grafene continua

La scoperta e lo studio delle proprietà del grafene hanno offerto la possibilità di svelare le caratteristiche fantastiche di questo materiale, costituito da carbonio e spesso un singolo atomo, e che in poco tempo si è rivelato un vero e proprio parco giochi per fisici. In questo materiale i portatori di carica, elettroni e lacune, si muovono a velocità balistiche paragonabili a quella della luce. Dopo questo entusiasmante momento, sono state individuate delle promettenti applicazioni in diversi campi quali quello dell’elettronica, della sensoristica, dello stoccaggio e generazione dell’energia. Gli scienziati si sono quindi concentrati nello sviluppare dei processi di sintesi del materiale su larga scala ed economici. Negli anni sono stati sviluppate due tecniche principali di sintesi: produzione di inchiostri tramite processi di esfoliazione della grafite, e sintesi di grafene altamente cristallino in fornaci ad alta temperatura. Negli ultimi anni, gli inchiostri di grafene sono stati usati in un grande numero di applicazioni “low-tech”: sono presenti sul mercato prodotti tessili e plastici in cui il grafene rappresenta un valore aggiunto aumentando la resistenza, flessibilità, e conducibilità dei materiali di partenza a cui viene aggiunto. Nei nostri laboratori al CNI siamo specializzati nell’approccio di produzione di grafene altamente cristallino in fornaci. Questo filone della ricerca sul grafene si muove più lentamente rispetto a quella dedicata agli inchiostri. In questo caso infatti i controlli di qualità – il grafene deve rispondere a requisiti molto stringenti – sono molto approfonditi e anche le applicazioni hi-tech del grafene hanno bisogno di tempi più lunghi in quanto più sofisticate.

In questi ultimi anni il grafene altamente cristallino è oggetto di grande interesse a livello mondiale, promettendo applicazioni ad alto rendimento e con bassi consumi energetici in vari campi. Ad esempio, all’interno del progetto bandiera europeo sul grafene (i.e., Graphene Flagship) abbiamo dimostrato, assieme ad importanti aziende multinazionali ed altri centri di ricerca, le potenzialità del grafene in applicazioni fotoniche, più precisamente nell’ambito delle telecomunicazioni. Sappiamo benissimo, e la pandemia ce lo ha purtroppo dimostrato, quanto è importante poter essere connessi a internet e poter comunicare con i dispositivi mobili. Il grafene ha una serie di proprietà che permettono di ottenere dispositivi per trasmettere e ricevere dati che sono piccoli, velocissimi e a basso consumo energetico.  È questo un filone applicativo del grafene molto importante che viene seguito con noi dai protagonisti del sistema delle telecomunicazioni e prevede importanti finanziamenti dalla Comunità Europea. Proprio in questi giorni, ad esempio, ci è stato finanziato un importante progetto Europeo del tipo Research and Innovation Actions (RIA) su queste tematiche.

Per quanto concerne infine la ricerca di base sul grafene, nonostante passino gli anni è in continua evoluzione. Grazie al grafene si è aperto un nuovo e promettente campo di studi, quello della twistronica. Si tratta di poggiare uno su l’altro due fogli di grafene con un angolo controllato così da poter modificare drasticamente le proprietà elettroniche del doppio strato risultante, che può essere isolante o conduttivo. Se riesci a centrare quello che viene definito “l’angolo magico” puoi realizzare del materiale superconduttivo con qualità molto interessanti. Più in generale, impilando materiali bidimensionali l’uno sull’altro si possono ottenere dei materiali assolutamente originali le cui proprietà differiscono in maniera completa da quella dei singoli strati costituenti. La ricerca sui materiali bidimensionali è fonte continua di nuove scoperte. Abbiamo recentemente osservato, per esempio, che l’oro, il metallo per eccellenza, quando è confinato in forma bidimensionale diventa un semiconduttore.

È questo un filone della ricerca di base che sostiene nuova scienza, nuove scoperte e, ci auguriamo, importanti finanziamenti.

Condividi