Cerca
Close this search box.

Le neuroscienze del futuro prossimo: qual è la rotta?

Un approfondimento sui passi avanti in questo ambito di ricerca, le risorse messe in campo e la direzione futura

Lo studio del cervello, della sua anatomia e del suo funzionamento impegna l’essere umano da migliaia di anni, di pari passo con l’evolversi degli strumenti e delle tecnologie a disposizione. Le neuroscienze ci permettono di affrontare le sfide del presente e del futuro prossimo, di capire i meccanismi che governano la nostra mente e i nostri comportamenti. Ma che direzione sta prendendo, la ricerca in questo ambito, e quale rotta seguirà nei prossimi anni? Quali le risorse che saranno messe in campo, quali gli obiettivi più pressanti e le strategie per raggiungerli?

Uno dei progetti collettivi più audaci e ambiziosi, in tal senso, è quello sviluppato negli Stati Uniti sotto il cappello della BRAIN (Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies) Initiative, che è stata lanciata nel 2013 e che sarà attiva fino al 2025: supportata dal National Institute of Health (NIH), con un particolare coinvolgimento della Division of Neuroscience del NINDS (National Institute of Neurological Disorders and Stroke), la BRAIN Initiative è sviluppata in stretta collaborazione con altre Agenzie governative e partner del settore privato, con un investimento che nel 2021 ha toccato i circa 2,4 miliardi di dollari. Gli obiettivi sono infatti molto ambiziosi: innanzitutto si vuole accelerare lo sviluppo e l’applicazione di nuove neurotecnologie in grado di produrre un quadro dinamico del funzionamento del cervello in tempo reale; si spera, inoltre, che capire come il cervello registra, elabora, usa, memorizza e recupera grandi quantità di informazioni, possa far luce sui complessi legami tra funzioni cerebrali e comportamento, contribuendo allo sviluppo di applicazioni cliniche sicure ed efficaci per diverse patologie e disturbi.

L’Europa ha lanciato (nel 2013) l’Human Brain Project, una FET Flagship della durata prevista di 10 anni la cui prima fase è iniziata all’interno del settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo sviluppo (FP7). L’iniziativa, che si proponeva l’ambizioso obiettivo di realizzare una simulazione al computer del cervello umano, non ha inizialmente avuto vita facile: nel 2014, circa 700 esperti europei firmarono infatti una lettera nella quale denunciavano la loro preoccupazione a fronte del “determinismo tecnologico” con cui si cercava di descrivere l’attività cerebrale (frutto, secondo alcuni, degli stupefacenti risultati ottenuti quasi 30 anni prima dallo Human Genome Project), ma anche della poca trasparenza nei metodi di raccolta e spartizione dei finanziamenti. Nel 2015 l’iniziativa ha quindi cambiato dirigenza, organizzazione e obiettivi, che sono stati pesantemente ridefiniti nell’ambito del Programma Horizon 2020 (FP8): quello che si vuole ottenere ora è un’innovativa infrastruttura di ricerca computazionale in grado di aiutare esperti ed esperte ad archiviare, processare e analizzare immense quantità di dati, in modo da poter sviluppare atlanti 3D multi-scala del cervello con una risoluzione senza precedenti. Per fare ciò HBP si avvale di una infrastruttura IT unica, che utilizza piattaforme di collaborazione e sviluppo basate su database in cloud, sistemi di immagazzinamento dati delle dimensioni dei petabyte e supercomputer. Gli avanzamenti di HBP e gli strumenti sviluppati nell’ambito dell’iniziativa sono disponibili su Ebrains, una piattaforma digitale che li raccoglie, rendendoli disponibili alla comunità scientifica e rappresentando quindi un importante esempio di infrastruttura di open science. Il grande interesse europeo nei confronti delle neuroscienze si nota anche analizzando i dati dei finanziamenti dell’European Research Council (ERC): dal 2018 al 2020 sono stati supportati (tipologie ‘LS5-Neurosciences and Neural Disorders’ e ‘SH4- The human mind and its complexity’) 218 progetti in 17 nazioni (sul podio per numero di progetti supportati Germania, Regno Unito e Paesi Bassi), comprese le progettualità collaborative del framework Horizon2020, per un totale di quasi 400 milioni di euro. Nuove opportunità di finanziamento sono e saranno inoltre disponibili all’interno di Horizon Europe, il Programma quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027, in particolare per quanto riguarda il Cluster 1 – Health (che ha un budget totale di 8 miliardi di euro).

Il resto del mondo, d’altronde, non rimane certo a guardare: in Cina, ad esempio, è attivo il China Brain Project,progetto scientifico e tecnologico chiave nel 13° piano quinquennale di sviluppo, adottato ufficialmente nella primavera del 2016. Obiettivi cardine sono la definizione dei meccanismi neurali alla base della cognizione, lo svolgimento di studi traslazionali su diversi disturbi neurologici (con un’enfasi particolare sulla diagnosi precoce), e la realizzazione di simulazioni del cervello utili nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica. Il programma, della durata prevista di 15 anni e con un budget di 100 miliardi di yuan (poco meno di 16 miliardi di dollari), è sostenuto dal Centro di eccellenza dell’Accademia cinese delle scienze (CAS) per la scienza del cervello e l’intelligenza, da un consorzio di laboratori distribuiti in oltre venti istituti e università, e dal Chinese Institute for Brain Research, lanciato nel marzo 2018. Le critiche non hanno però risparmiato neanche il China Brain Project: a gennaio, infatti, Rao Yi (un membro del comitato, composto da 20 esperti, che dirige l’iniziativa), ha dichiarato sui suoi account social che il comitato ha troppo potere, e che è impossibile che le decisioni relative ai finanziamenti siano eque. Rao, presidente della Capital Medical University e una delle poche voci critiche nei confronti delle politiche scientifiche del governo, ha sottolineato la facilità con cui i membri del comitato potrebbero aiutare il proprio istituto, e i propri colleghi, ad ottenere una grande quantità di finanziamenti.

Il vicino governo di Seoul ha annunciato, a maggio 2016, la Korea Brain Initiative, un programma scientifico che mira a guidare la quarta rivoluzione industriale, comprendere i principi ancora nascosti della funzionalità cerebrale, e produrre un nuovo quadro dinamico di cervelli sani e in situazioni patologiche, sviluppando trattamenti personalizzati per i disturbi mentali e neurologici tramite la medicina di precisione. Per raggiungere questi ambiziosi traguardi l’iniziativa coreana intende stimolare l’interazione tra istituti scientifici, università e industria e promuovere la ricerca scientifica collegata all’intelligenza naturale (NI) e l’intelligenza artificiale (AI).

Sempre restando nell’estremo Oriente un’altra potenza tecnologica, il Giappone, ha iniziato nel 2014 un progetto di mappatura del cervello chiamato Brain Mapping by Integrated Neurotechnologies for Disease Studies (Brain/MINDS), il RIKEN Brain Science Institute funge da istituto centrale. L’iniziativa, che ha come obiettivo unico l’applicazione clinica, mira a mappare la struttura e la funzione dei circuiti neuronali avvalendosi di un modello animale unico di primate, l’uistitì dai pennacchi bianchi (Callithrix jacchus).

Per cercare di “decifrare il codice del cervello” l’Australian Brain Aillance fa invece leva su nuove partnership tra il mondo accademico e quello dell’industria, per promuovere la realizzazione di innovative neuroprotesi e interfacce cervello-macchina (di cui alcuni gruppi di ricerca australiani sono tra i massimi esperti al mondo): dispositivi di stimolazione e registrazione del segnale cerebrale che usano le informazioni disponibili sulla funzionalità cerebrale per produrre dispositivi più intelligenti, impiantabili e indossabili che possono alleviare il dolore, ripristinare le funzioni sensoriali e motorie, trattare disturbi cerebrali altamente debilitanti.

Anche in Russia uno dei punti di forza del mercato dell’innovazione è rappresentato dallo sviluppo di neurotecnologie. Lo dimostra il fatto che il governo di Mosca sostiene iniziative come la Neuronet Industry Union, il cui obiettivo principale è quello di favorire le collaborazioni tra gruppi di ricerca pubblici e privati, supportare le tante startup e aziende che sono nate negli ultimi anni in questo settore e poter così sviluppare un mercato delle neurotecnologie che possa essere competitivo a livello internazionale. Un esempio è dato dalle interfacce cervello-computer (Brain-Computer Interfaces, BCI), sistemi che analizzano e traducono il segnale cerebrale nell’ambito di terapie riabilitative, e nei quali il rinomato know-how russo in ambito ingegneristico e informatico si sta fondendo con la crescente comprensione della fisiologia cerebrale.

Interessante è infine il caso dell’India, Paese che rappresenta una delle più importanti economie emergenti (è attualmente fra le prime dieci economie del mondo, con un PIL stimato di circa 750 miliardi di dollari) ma che investe ancora molto poco, in proporzione, nella ricerca scientifica. Nella città di Bengaluru è attivo il Centre for Brain Research, che conduce studi clinici su diversi disturbi, con particolare riferimento a quelli neurodegenerativi collegati all’età avanzata (le stime parlando di circa 8 milioni di persone in India potrebbero soffrire, nel 2030, della Malattia di Alzheimer). La particolarità? Dei 38,5 milioni di dollari che il Centro ha a disposizione in 10 anni (2014-2024), 34 milioni provengono dal fondo privato di un filantropo, Kris Gopalakrishnan.

Da un lato non si può non guardare con speranza e ottimismo al lavoro dei tantissimi gruppi di ricerca distribuiti pressoché in tutto il mondo che, negli ultimi anni così come nel prossimo futuro, stanno cercando di migliorare la conoscenza del cervello e del suo funzionamento, in situazioni normali e patologiche.  D’altro canto, tuttavia, appare evidente che tra queste iniziative ci sia una quantomeno parziale sovrapposizione di intenti, con il conseguente rischio di sprecare tempo e risorse preziose. È da una considerazione simile che nasce, nel 2017, l’International Brain Initiative, la cui Dichiarazione di intenti è stata inizialmente firmata da Europa, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Australia, a cui si sono aggiunti Cina e Canada. Obiettivo dell’iniziativa è quello di catalizzare gli sforzi e far progredire la ricerca sulle neuroscienze promuovendo ancor di più il coordinamento tra gruppi di lavoro, la collaborazione internazionale e la condivisione delle conoscenze; una visione “pura”, se vogliamo, della ricerca scientifica, per andare oltre i confini geografici e costruire un’unica, vera Big Neuroscience research a beneficio dell’intera umanità.

Condividi