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L’Italia può essere un vantaggio competitivo per una start-up Hi-Tech?

Intervista all’imprenditore Umberto Malesci in occasione del suo incontro con ricercatori e startupper di IIT

Il racconto che Umberto Malesi, responsabile per il business development e il marketing per la business unit Internet of Things in Cisco, ha portato ai ricercatori e startupper dell’Istituto Italiano di Tecnologia nel seminario “BEYOND THE EXIT” che si è recentemente svolto nella sede centrale IIT con il supporto della Direzione Technology Transfer, rappresenta una fonte di ispirazione per tutti coloro che sognano di attraversare con successo la cosiddetta “valle della morte”, quella strada che porta da un prototipo assemblato in un laboratorio ad un prodotto pronto per andare sul mercato. La sua avventura imprenditoriale inizia subito dopo laurea in ingegneria informatica conseguita al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston negli Stati Uniti e si concretizza con la fondazione, nel 2005, della startup Fluidmesh Network attiva nel campo delle tecnologie wireless che crescerà e si evolverà nel settore hi-tech fino ad essere acquisita nel 2020 da Cisco che integrerà Fluidmesh e le tecnologie sviluppate dall’azienda nel gruppo.

Ci racconti come è iniziata la sua storia come imprenditore

La mia storia è iniziata nel 2005 quando ero uno studente di master all’MIT a Boston negli Stati Uniti. Non volevo diventare ricco né cambiare il mondo ma partecipare a una competizione di progetti imprenditoriali, che ogni anno viene organizzata in MIT, portando un business plan che avevo preparato con alcuni compagni di corsi, relativo all’applicazione commerciale delle reti mesh (un tipo di rete wireless) all’ambito della videosorveglianza. L’intenzione era provare a vincere la competizione, ma la nostra idea è stata bocciata e giudicata troppo debole. Quell’esperienza e tutto il lavoro fatto per realizzare il business plan però mi hanno fatto comprendere che esisteva un bisogno reale e forte di un prodotto come il nostro. Così abbiamo insistito ed è iniziata la ricerca di potenziali clienti nonostante la nostra tecnologia fosse ancora acerba. La cosa più difficile è stata trovare il primo cliente, che è stato il Comune di Como, e poi passo dopo passo, con molto lavoro, dopo 15 anni siamo diventati un’azienda vera e propria.

Il mercato delle tecnologie wireless non esisteva ancora ma poi ha subito una forte accelerazione negli anni successivi, come avete fatto a consolidarvi?

La tecnologia del wi-fi in effetti era solo agli esordi e aveva prestazioni limitate, il mondo era completamente diverso da oggi. Questo è uno dei problemi delle aziende hi-tech, puoi impiegare anche 10 o 20 anni per consolidarti come azienda e corri il rischio di diventare obsoleto prima di esserti guadagnato una fetta di mercato. Ci siamo consolidati grazie alle nostre vendite negli Stati Uniti tra il 2006 e il 2010 con applicazioni della nostra tecnologia nel campo della sicurezza ma dal 2011 abbiamo iniziato ad implementare qualcosa di completamente nuovo, visto lo scenario tecnologico in continua evoluzione, facendo molta ricerca e sviluppo e portando nel 2013 un nuovo prodotto per implementare il wi-fi in movimento. In questa fase abbiamo avuto una nuova crescita e un ulteriore consolidamento dell’azienda.

Come avete finanziato l’attività di ricerca e sviluppo?

Principalmente con bandi competitivi in collaborazione con istituzioni di ricerca. Le attività di ricerca e sviluppo ha sempre avuto un baricentro italiano ed è grazie ai fondi pubblici ottenuti e alla ricerca svolta in Italia siamo che siamo riusciti ad ottenere un prodotto appetibile per l’acquisizione da parte di CISCO nel 2020.

Che ruolo ha avuto l’Italia nella vostra crescita?

L’Italia è stato il nostro vantaggio competitivo. Noi siamo nati come start-up MIT, che è un marchio che ti offre una forte spinta, ma il fatto di svolgere tutta l’attività di ricerca e sviluppo in Italia è stato un asset strategico. Il personale che lavorava in Fluidmesh era altamente specializzato e costava molto meno del personale che avremmo potuto avere nell’area di Boston. Inoltre, il mercato del lavoro in Italia è meno fluido e competitivo e per una azienda che ha bisogno di continuità è un grande vantaggio. Negli Stati Uniti c’è una forte competizione tra aziende e i talenti sono contesi tra diverse realtà che giocano al rialzo.

È vero quanto si dice sulla differenza del concetto di fallimenti in Italia e negli Stati Uniti?

Il fallimento in Italia è un problema ma fino ad un certo punto. Lo scenario è cambiato e direi che ormai si tratta più di una percezione che di un reale problema. Chi fallisce in Italia al giorno d’oggi può ancora fare strada. L’importante è fallire velocemente. Se fallisci in due o tre anni hai tutto il tempo di provare qualcos’altro che funziona, ma se per fallire impieghi 15 anni, l’insuccesso potrebbe essere più difficile da gestire.

Quali sono gli elementi fondamentale per il successo di una nuova impresa?

In primis i clienti. Dobbiamo porci la fondamentale domanda se con la nostra tecnologia risolviamo un problema ai nostri clienti. Non ci si deve focalizzare sui fondi di investimento o possibili business angels per la crescita della nostra azienda, ma sul prodotto. Dobbiamo sviluppare una soluzione che sia dieci volte meglio di quelle esistenti e il mio cliente deve essere disposto ad usare la mia tecnologia anche se non è completa e presenta delle imperfezioni. Deve aver urgenza di utilizzarla, se può permettersi di aspettare vuol dire che il mio prodotto non è così fondamentale per il suo business e il bisogno del mercato non è poi così forte. Un altro elemento importante è focalizzarsi su due attività principali: il prodotto e la sua vendita. Tutto il resto, soprattutto nelle fasi iniziali, è marginale e va fatto “nel tempo libero”. Infine, è consigliabile tenere bassi i costi fissi e avere un buon margine sulle vendite. Noi vendevamo negli Stati Uniti, sviluppando in Italia e assemblando la tecnologia in Cina. Per ottimizzare i costi è necessario pensare globale e senza confini.

Come avete vissuto la fase di acquisizione di CISCO?

Molto bene direi. Di solito nelle acquisizioni sono solo gli azionisti che ne giovano. In questo caso i dipendenti stessi ci hanno ringraziato dopo la fusione. CISCO ha migliorato le carriere delle persone grazie alla sua esperienza e alla sua grande attenzione ai team di lavoro delle aziende all’interno del gruppo. Una prova di ciò è che a distanza di tre anni dall’acquisizione quasi nessuno dei dipendenti di Fluidmesh ha cambiato lavoro.

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