Cerca
Close this search box.

L’unico compito di un virus è quello di riprodursi

Intervista a Gian Gaetano Tartaglia, coordinatore di RNA Systems Biology Lab di IIT

E lo fa replicandosi nel miglior modo possibile. Ma per replicarsi, dovrà trovarsi in un ambiente speciale: la cellula. L’intruso dovrà quindi essere in grado di ingannarla, al fine di ricevere la sua ospitalità. Il gruppo di ricerca coordinato da Gian Gaetano Tartaglia – responsabile del laboratorio RNA System Biology Lab dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova e professore del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma – ha investigato i meccanismi molecolari responsabili della replicazione del SARS-CoV-2 all’interno delle cellule umane, utili alla comprensione dei principi di diffusione del COVID-19. Lo studio, frutto di una collaborazione tra IIT, la Sapienza, Nanyang Technological University (NTU) di Singapore e il Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona, è stato pubblicato su Nucleic Acids Research alla fine del 2020 e sta avendo un seguito.

Come noi, anche i virus hanno un loro codice genetico, costituito da una catena di tante unità dette nucleotidi, cioè acidi nucleici che vengono indicati con delle lettere. Ma a differenza della doppia elica del DNA delle nostre cellule, il più delle volte il loro RNA si presenta come un singolo filamento ripiegato su sé stesso. Per replicarsi, il Sars-Cov-2 sfrutta proprio il codice genetico nascosto nel suo stesso RNA.

Come sappiamo – ha spiegato Tartaglia – il Sars-Cov-2 vive in un involucro proteico, una specie di capsula circondata da spine dette spike, che formano una sorta di corona: da qui il nome Coronavirus. Il ruolo degli spike è quello di agganciarsi ai ricettori cellulari, in maniera tale da permettere a una parte del virus di spostarsi all’interno della cellula, dove avviene la replicazione. Una volta riprodotto, esce dalla cellula per trovarne un’altra a cui agganciarsi e ripetere il processo”.

Diversamente da un virus come l’HIV, è stato osservato che il Sars-CoV-2 risulta più indipendente: in altre parole, è in grado di produrre autonomamente alcuni elementi utili a replicarsi (la proteina polimerasi per la produzione di RNA) senza ricorrere al DNA della cellula ospitante; questi elementi, infatti, si trovano già in una parte di RNA (lungo in totale circa 30.000 nucleotidi) che si trasferisce all’interno della cellula. Ma perché il virus possa replicarsi, deve verificarsi un’interazione con determinate proteine di quella cellula; o se vogliamo, il frammento di virus deve rubare proteine al suo ospite per completare il suo processo di riproduzione.

Ma come funzionano queste interazioni? Oltre ad appropriarsi delle proteine della cellula che sono utili al processo di riproduzione, il virus deve anche poter bloccare quelle che invece servono alla cellula per difendersi. Quindi, entrando, il virus comincia a selezionare le proteine di cui necessita e quelle da inibire.

La proteina del Sars-CoV-2 – ha affermato Tartaglia – ha una struttura tridimensionale che assomiglia a una cintura arrotolata. Lungo questa cintura, rimangono agganciate le proteine della cellula che gli servono a riprodursi (il ribosoma, per esempio, è una di quelle coinvolte proprio nella traduzione dell’RNA); il virus, cioè, recluta gli elementi che gli servono per riprodursi. Quali di essi siano e in quale ordine vengano reclutati, non lo sappiamo ancora bene, non solo per quanto riguarda il Sars-CoV-2, ma anche per molti altri virus. Se lo sapessimo, potremmo bloccare questa interazione tramite una molecola appositamente costruita, ovvero uno specifico farmaco antivirale. Quindi, la prima domanda che ci poniamo è “quali sono le proteine che risultano vitali per il virus?” e “in che ordine vengono reclutate dal virus?”. Oltre a questo, per poter sopravvivere e svolgere la sua funzione, il virus deve essere capace di difendersi da quelle proteine che, invece, hanno il compito di presidiare la cellula dal suo attacco. In altre parole, deve renderle inerti: una volta agganciati quegli elementi a lui favorevoli, fa in modo di attrarre quelli che difendono la cellula e intrappolarli in alcune sue particolari strutture”.

Invero, sappiamo ancora pochissimo sul funzionamento di questi meccanismi. Negli ultimi dieci anni, il team di Tartaglia ha lavorato, sia sul piano computazionale che sperimentale, sulle interazioni delle proteine umane con specifici RNA. Nel 2019, Tartaglia ha infatti ricevuto un finanziamento dall’European Research Council (ERC) per il progetto ASTRA, dedicato allo studio delle terapie a RNA per le malattie neurodegenerative. Ma con l’inizio della pandemia, il suo gruppo di ricerca ha sfruttato tutti gli strumenti di cui erano già in possesso per lo studio delle interazioni del SARS-CoV-2. Diversi studenti hanno partecipato con entusiasmo al lavoro, sia teorici, come Andrea Vandelli, che sperimentali, Jakob Rupert.

Gli algoritmi utilizzati – ha precisato Tartaglia – li abbiamo sviluppati anni fa non tanto per studiare i virus, ma in generale per studiare l’RNA e le proteine. In altri termini, erano strumenti che avevamo già pronti. Con l’inizio della pandemia, abbiamo deciso di metterli a disposizione di altri gruppi di ricerca sperimentale, dando loro modo di approfondire la conoscenza di quelle interazioni che si pensa siano importanti per la replicazione del virus. Contemporaneamente, anche noi abbiamo iniziato a fare esperimenti sulla base delle previsioni date dagli algoritmi, con lo scopo di ottenere altre conferme”.

I ricercatori hanno, infatti, ottenuto due risultati principali. Il primo, come spiegato precedentemente, mostra che la replicazione del virus è causata dalle interazioni di alcune proteine umane con specifiche aree del genoma di SARS-CoV-2, la cui interruzione può fermare l’infezione. Il secondo risultato, invece, mostra che un certo numero di proteine di SARS-CoV-2 sono presenti anche in altri virus, una somiglianza che potrebbe aiutare a identificare farmaci efficaci per la COVID19 tra i composti antivirali già esistenti.

Come ha spiegato Tartaglia “Molte proteine della cellula con cui il virus interagisce, sia che servano all’attivazione del processo di replicazione, sia che servano a bloccarlo, si trovano anche in meccanismi di interazione con altri virus; mentre altre, sono specifiche dell’interazione con il Sars-CoV-2. L’obiettivo è quindi sapere cosa sia generale, per capire la biologia del virus, e cosa sia specifico del Sars-CoV-2, per comprenderne la sua efficacia. Una classe di proteine che viene spesso reclutata, per esempio, è quella dell’elicasi. Questa ha un ruolo particolare, cioè quello di cambiare la struttura dell’RNA del virus, aprendolo come si apre un libro, in modo da potervi leggere le informazioni contenute e dare inizio alla costruzione di copie. Si tratta di una classe molto nota, che riscontriamo in molti agenti patogeni”.

Conoscere il virus nei suoi dettagli e comprenderne i meccanismi che stanno alla base della sua replicazione, consente di trovare la soluzione al problema.

È ciò su cui tutt’ora stiamo lavorando – ha affermato Tartaglia – cioè capire quali elementi proteici della cellula il SarS-CoV-2 sceglie e in che modo li sceglie. Una volta capito questo, saremo in grado di creare una molecola (un farmaco antivirale) che renda meno efficiente la replicazione del virus. Come tutti ricorderanno, all’inizio della pandemia erano in atto vari tentativi al buio, come l’utilizzo di alcuni farmaci normalmente utilizzati contro l’HIV”.

In queste ultime settimane abbiamo sentito parlare di varianti del virus: sono diverse le mutazioni che sono state riscontrate in varie parti del mondo. Le varianti sono i prodotti di un processo di trasformazione del virus che avviene naturalmente: nel suo apparato di replicazione, il virus è imperfetto e quindi compie degli errori. Al fine di riprodursi meglio di prima, introduce quindi una variante, che consiste in un cambio di struttura. Tale processo di evoluzione non è altro che il motore con cui il virus si rafforza.

Il gruppo di ricerca di Tartaglia sta lavorando anche su questo: “Abbiamo cominciato a prendere una lista di varianti, in particolare sei, incluse quella inglese e quella brasiliana, tenendo comunque conto che esse vengono prodotte velocemente (nel giro di poche settimane ce ne saranno altre, data l’elevata velocità di diffusione). Tra queste, ce ne sono alcune particolarmente localizzate, cioè il virus subisce una variazione strutturale in zone ben precise. Questa è l’ipotesi più probabile. Esistono altre possibilità, come il fatto che la variante produca una modifica dell’azione di alcune proteine del virus. Ma, a mio parere, si tratta di un’ipotesi più debole. Anche in questo caso, prima creiamo dei modelli teorici e poi li applichiamo agli studi sperimentali”.

Ma cosa comporta l’evoluzione di un virus? Ci saranno più contagi? Ci saranno più morti? Pare che una componente delle mutazioni della variante inglese aumenti l’affinità di 2,5 volte della proteina spike rispetto al recettore, facendo sì che il virus si agganci più facilmente alla cellula.

Un virus – spiega Tartaglia – ha come scopo primo quello di riprodursi il più possibile, non di sopprimere la cellula ospitante, anche perché senza questa morirebbe. Una variante di successo, quindi, deve aumentare la capacità del virus di replicarsi, ma per farlo deve evitare che la cellula muoia. Variando, con molta probabilità il virus aumenterà la sua contagiosità ma diventerà meno aggressivo”.

Le nostre cellule sono costantemente bombardate dai virus, molti dei quali attaccano l’organismo umano da così tanto tempo che hanno raggiunto un tasso di letalità molto basso. La prima volta, infatti, che un virus interagisce con una cellula umana, esso risulta suo malgrado più aggressivo, perché sebbene la cellula sia il suo mezzo di sopravvivenza, deve ancora adattarsi a un ambiente inizialmente sconosciuto. Per diventare meno aggressivo e propagarsi più facilmente, subisce appunto delle trasformazioni. Tra le nuove generazioni di un virus, sopravvivono tipicamente quelle più capaci di replicarsi e meno aggressive. Resta tuttavia da capire quali siano le unicità del Sars-CoV-2, cioè cosa lo renda così speciale rispetto ad altri agenti patogeni.

Come già detto, le sue particolarità risiedono nella sua struttura, nelle proteine che recluta e nel meccanismo fisico con cui le recluta. Il nostro obiettivo è proprio quello di svelare nei dettagli la sua unicità, cioè capire quali siano le proteine che hanno più importanza per la replicazione e quali siano quelle che hanno più valore per l’aggressività”.

Condividi