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Scienza in Parlamento, l’appello corre in rete

Una raccolta firme per mettere la scienza al servizio della democrazia in Italia


Da qualche settimana si può trovare in rete una petizione che chiede al Parlamento italiano di istituire un servizio di documentazione e consulenza su scienza e tecnologia. Qui il link all’appello: https://www.change.org/p/appello-scienzainparlamento

Lo scopo del gruppo di giovani ricercatori e giornalisti scientifici che l’ha promosso – noto ormai come #ScienzainInparlamento (http://www.scienzainparlamento.org/) – è di supportare il lavoro legislativo di deputati e senatori con sintesi e aggiornamenti indipendenti sugli aspetti scientifici implicati nelle varie leggi.

Gli esempi non mancano: che si dibatta di privacy o big data, medicina o energia, clima o agricoltura, sono orami davvero poche le leggi che non presuppongano conoscenze scientifiche avanzate, la capacità di lettura di dati e statistiche, la consapevolezza dello stato dell’arte di settori disciplinari in continua evoluzione.

Tutto questo – è evidente – necessita di professionisti capaci di stilare report, sommari in cui le conoscenze vengano distillate con linguaggio non specialistico e soprattutto con un metodo che garantisca l’indipendenza da posizioni preconcette.

Sarebbe ora che anche il Parlamento italiano si doti di una struttura di consulenza di questo genere. Molti altri Paesi democratici hanno Science & Technology Office. Il più noto è il POST britannico (https://www.parliament.uk/mps-lords-and-offices/offices/bicameral/post/). Anche il Parlamento europeo ha un ufficio di questo genere (http://www.europarl.europa.eu/stoa/en/home/highlights), così come la Francia con il suo Office parlementaire d’évaluation des choix scientifiques et technologiques (http://www.senat.fr/opecst/), in realtà composto da parlamentari con competenze scientifiche (il vicepresidente è il noto matematico Cédric Villani). Anche Germania, Catalogna, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Svizzera hanno uffici di consulenza scientifica e tecnologica, molti dei quali fanno parte della rete paneuropea EPTA Network. Gli Stati Uniti, che da sempre hanno un advisor scientifico del presidente, stanno a loro volta ricostituendo il loro ufficio parlamentare, mentre alcuni ricercatori spagnoli hanno lanciato una campagna #CienciaenelParlamento che ha raccolto via Twitter l’adesione di centinaia di società scientifiche e di tutti i gruppi parlamentari.

Manca, insomma, l’Italia. Per questo è nato l’Appello, fra i primi firmatari Roberto Cingolani, il fisico Carlo Rovelli, il filosofo della scienza Telmo Pievani, il presidente del CNR Massimo Inguscio, la fisica delle onde gravitazionali Marica Branchesi e da altre 4.000 firme.

Una reazione così immediata e in alcuni entusiasta dipende probabilmente dal fatto che molti sentono come pericolosa la distanza che separa il mondo della politica da quello delle competenze scientifiche. Ragione che ha spinto un altro gruppo a firmare il Patto trasversale per la scienza, lanciato dal virologo Roberto Burioni e dall’immunologo Guido Silvestri che nell’ultimo anno si sono spesi per contrastare i no-vax, e che pure hanno aderito a #ScienzaInparlamento.

Di scienza e tecnologia inevitabilmente si parla anche nel Parlamento italiano. Ma come avviene anche altrove se ne parla senza un metodo codificato, lasciando cioè che i convincimenti dei rappresentati politici si formino – quando va bene – attraverso letture casuali o in iterazioni con portatori di interessi coinvolti in audizioni dai parlamentari stessi. Questo – intendiamoci – è legittimo e avviene anche dove questi uffici esistono. Secondo uno studio del POST britannico (https://www.parliament.uk/mps-lords-and-offices/offices/bicameral/post/post-publications/research-in-parliament/), ad esempio, gli esperti “auditi” sono molto più numerosi fra le charities che fra gli accademici degli atenei, meno interessati a mettere il loro sapere al servizio del pubblico. Per non parlare del Parlamento europeo, che deve vedersela con il fenomeno imponente del lobbysmo, recentemente descritto da Milena Gabanelli nel suo Data Room (https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/).

Tutto questo è noto e non scandalizza nemmeno più. Tuttavia il fatto che i parlamentari abbiano a disposizione – nel colossale gioco di interessi della politica – anche un avviso spassionato di ciò che la scienza ha da dire su un determinato argomento ha un valore. Si guardi per esempio quali sono le ultime “Notes” (documenti sintetici di 4 pagine) rilasciate dal POST britannico: la numero 596 parla di armi chimiche, la 595 affronta l’emergenza sanitaria della resistenza agli antibiotici, la 594 invece è dedicata a come fare a limitare il riscaldamento globale a + 1,5°C rispetto all’inizio dell’epoca industriale. La 592 tratta invece gli aspetti di cybersecurity connessi all’uso di smartphone e altri dispositivi personali. Ma subito prima (a fine 2018) una Nota fa il punto sul fenomeno dello stalking e dell’harassement, un’altra sull’utilizzo dei robot nell’assistenza sociale. E via elencando.

Ogni ufficio di scienza e tecnologia ha le sue tradizioni e accorda i temi al calendario dei lavori parlamentari. L’Ufficio del Parlamento australiano insiste molto su temi ambientali, la STOA del parlamento europeo si occupa molto di energia e sostenibilità, ma anche di uso degli algoritmi e di polarizzazione dell’informazione. La Fondazione per la valutazione delle scelte tecnologiche svizzera è in realtà un ente esterno al parlamento, ma al suo servizio, con una specifica attenzione sulle ricadute delle tecnologie su ambiente e società (https://www.ta-swiss.ch/).

Non si deve pensare peraltro che questi uffici si occupino soltanto di redigere rapporti; un altro settore importante è l’organizzazione di seminari per formare i parlamentari al ragionamento scientifico, alla pratica della peer review. A spiegare per esempio il limite epistemologico dell’opinione di esperti rispetto ad altre fonti di evidenza quali – in medicina come in altri ambiti –  gli studi osservazionali, gli studi controllati e randomizzati, le revisioni sistematiche, le metanalisi…

Non sempre la scienza può essere presentata ai decisori con la sicumera di chi ha la verità in tasca. Anzi, a dire il vero su temi complessi e di frontiera come l’intelligenza artificiale, la manipolazione e l’editing genetico, il nucleare, la medicina personalizzata, esistono posizioni diverse anche in seno alla scienza. Il bello del mestiere del broker scientifico, in questo caso, è proprio quello di restituire questa dialettica, perché ciò che importa non è trasmettere una soluzione qualsivoglia ma un metodo di discussione.

Nei commenti lasciati all’appello di #ScienzainParlamento, fra i molti entusiastici, ce ne sono alcuni scettici sulla capacità che una struttura di questo genere in Italia non diventi un ente inutile che funziona per cooptazione. Non lo si può escludere, ovviamente, ma lo sforzo attuale degli organizzatori è non prefigurare per ora soluzioni chiuse ma porre alla comunità civile e politica la questione della consulenza scientifica, e di come arrivarci nel modo migliore.

Luca Carra è direttore di Scienzainrete e segretario del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Si occupa di scienza, ambiente e salute. È socio dell’Agenzia Zadig. Collabora con varie testate, fra cui Corriere della Sera. È autore di diversi libri, fra i quali “Polveri & Veleni” e “Enigma nucleare” scritti insieme a Margherita Fronte. Insegna comunicazione ambientale al Master di comunicazione scientifica della Sissa (Trieste) e del MAcsis (Università Bicocca, Milano)

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