Il Center for Cultural Heritage Technology raccontato dalla coordinatrice
L’apertura di un centro di questo tipo, che combina competenze specialistiche che spaziano dal Machine Learning e Computer Vision alla caratterizzazione dei materiali che compongono i manufatti culturali e alla creazione di polimeri per la loro protezione, risponde all’esigenza sempre più sentita da vari attori (mondo della ricerca, delle istituzioni culturali, degli operatori del turismo) di spingere ulteriormente sullo sviluppo di tecnologie a favore dell’immenso patrimonio culturale italiano ed europeo a fronte delle molte e variegate (ma spesso incoerenti o slegate) esperienze in questi ambiti degli scorsi anni. Queste ultime hanno dimostrato come gli investimenti in cultura possano fungere da catalizzatori di nuove energie e possano divenire propulsori di ricerca d’avanguardia, diventando non di rado anche moltiplicatori economici.
Questo Centro nasce dunque per rispondere alla richiesta di nuovi approcci, strumenti, metodi per lo studio, l’analisi e la salvaguardia dei beni culturali in senso lato – il patrimonio tangibile e intangibile – per diventare un laboratorio di sviluppo e un propagatore di conoscenze.
Si tratta indubbiamente di una nuova sfida per IIT che dà così vita ad un luogo dove virtualmente due dei suoi ‘Domini di Ricerca’ tradizionali come Nanomaterials e Computational Sciences si intersecano tra loro in un originale ambito applicativo, definendo una nuova ‘Linea di Ricerca’ strategica in Tecnologie dei Beni Culturali.
Incidentalmente, il Centro è stato aperto proprio nel 2018, ovvero nell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, un’importante iniziativa della Ce organizzata lo scorso anno, per celebrare il patrimonio culturale europeo. Questa attività tesa anche a promuovere la protezione di questo inestimabile bene ha dimostrato ancora una volta, con i suoi migliaia di eventi in tutta Europa, come il patrimonio culturale possa generare ricadute economiche e sociali di lunga durata ed ad ampio raggio. L’attenzione crescente dedicata dalla CE alla cultura in tutte le sue sfaccettature, e ai beni culturali in particolare, si declina anche, in parallelo, nell’impegno a devolvere in futuro sempre maggiori investimenti in progettualità che preveda l’utilizzo di metodi e approcci che utilizzano tecnologie d’avanguardia per studiare, analizzare proteggere e salvaguardare Le migliori espressioni della creatività umana del pianeta.
In tutto ciò è comunque necessario e fondamentale riuscire a mantenere al centro il ‘bene culturale’ di per sé e a pianificare una ricerca che parta da esso e che sia ad esso funzionale piuttosto che concentrarsi, ad esempio, sulle ricadute che la sua utilizzazione (intesa qui in senso positivo) può avere. Identificare i bisogni reali e pressanti dei beni culturali, individuare le priorità da perseguire è dunque il primo passo per promuovere una ricerca realmente finalizzata alla tutela e salvaguardia del patrimonio materiale e immateriale. Questo processo passa anche e soprattutto attraverso l’elaborazione di precise ‘domande di ricerca’ che sottendano tutto il lavoro dei ricercatori e che guidino le attività che essi svolgono. Il fine ultimo è infatti quello di promuovere una ricerca di reale impatto che abbia ricadute nella gestione del patrimonio storico, storico e archeologico.
Questo passa anche necessariamente per la definizione di precise strategie di lungo termine, che permettano di arrivare davvero al cuore dei problemi e alla loro risoluzione, che possono non avere risultati immediati ma che sono il punto di partenza per una ricerca davvero fondata su basi solide e che si contrappongono per loro natura ad esercizi sul breve termine e soluzioni tampone perseguite solo per raggiungere qualche risultato apparente atto a ricevere consenso.
Assicurare la diffusione e il riuso in ambito scientifico e istituzionale di approcci e metodi elaborati dal Centro tra quelli che si chiamano stakeholders (le ‘parti interessate’) è un’altra delle attività che dovrà necessariamente essere perseguita: i risultati conseguiti negli anni a venire non dovranno essere funzionali solo a completare un programma di ricerca con stakeholders di riferimento selezionati, ma saranno, quando possibile, resi disponibili a tutti coloro che vogliano utilizzarli, in modo che più istituzioni ed enti siano in grado di adottare le stesse soluzioni per analizzare, conservare o proteggere i beni sotto loro tutela. Questo dipenderà molto dalla capacità che il Centro saprà esprimere nel fare rete, che significa da un lato favorire e attivare collaborazioni con gli stakeholders culturali, e dall’altro partecipare attivamente a network di ricerca nei beni culturali e contribuire ad attivarne di nuovi. Solo questo tipo di attività permettono una disseminazione che agevola una reale adozione dei risultati e solo utilizzando reti ben consolidate si riescono a diffondere buone pratiche. La disseminazione potrà anche passare attraverso training e supporto dove possibile per agevolare la formazione di futuri operatori dei beni culturali che sappiano utilizzare i metodi più avanzati per intervenire sul patrimonio.
Accanto alla disseminazione scientifica il Centro punterà molto anche sulla comunicazione a vari livelli per avvicinare il pubblico alle tecnologie per i beni culturali: l’interesse sempre crescente mostrato da un audience non specialistica verso queste metodiche è reso evidente dalla diffusione di programmi televisivi o via web che illustrano le svariate possibilità offerte dall’avanzamento della scienza e delle sue applicazioni. Avvicinare il pubblico al ai beni culturali tramite questi canali di mediazione permette di allargare il numero delle persone che sviluppano una nuova coscienza del patrimonio culturale e della di esso importanza nello sviluppo di una società più coesa e inclusiva.
Il punto di partenza del Centro sarà, come ovvio, il patrimonio culturale veneziano: la scelta di aprire la sede del Centro a Venezia non è per nulla casuale: nel panorama pur variegato delle città d’arte in Italia, Venezia spicca per la sua unicità, un luogo dove, se vogliamo, si combinano un patrimonio a cielo aperto e una ricchezza culturale enorme custodita all’interno dei musei e archivi con una serie di problematiche uniche a volte nel loro genere (si pensi alla risalita d’acqua lagunare che mina i palazzi in piedi dal medioevo, o alle situazioni che deve affrontare questo fragile luogo a causa dei cambiamenti climatici). Venezia potrà fungere da laboratorio vicino di sperimentazione per espandersi poi ad altri contesti geografici e coinvolgere nelle attività del Centro istituzioni nazionali ed internazionali.
Le opportunità sono dunque molte, come lo sono anche le difficoltà che andranno affrontate nei prossimi anni per portare il Centro prima a regime e poi permetterne lo sviluppo e allargamento. Sarà d’aiuto credere davvero di poter determinare dei cambiamenti importanti nel modo in cui la gestione della cultura viene interpretata ed attuata. Gli investimenti finanziari e in termini di risorse umane da parte IIT ci lasciano ben sperare. E ancora di più lo fa presagire l’entusiasmo dei ricercatori che hanno deciso di accettare questa sfida e che in queste settimane iniziano a popolare gli spazi del CCHT@Ca’Foscari.