Intervista ad Antonio Bicchi, coordinatore del Soft Robotics for Human Cooperation and Rehabilitation Lab all’IIT e vincitore di diversi finanziamenti ERC
Il progetto ERC Synergy Grant “Natural BionicS” si occupa dello sviluppo di protesi di ultima generazione, al fine di ottenere arti “naturali” da collegare al sistema nervoso centrale. Cosa si intende per protesi naturali? Che oltre alla parte meccanica comprendono il senso del tatto?
Il progetto è quello di reintegrare una comunicazione a doppio senso: dal sistema nervoso al comando della mano e dalla sensibilità tattile della mano al sistema nervoso. In questa fase di studio, abbiamo sviluppato qualche elemento di questa catena, che passa anche attraverso delle operazioni di re-innervazione della cute del moncone. In attesa di questi sviluppi, abbiamo iniziato a realizzare dei dispositivi per trasferire delle sensazioni tattili alla protesi, anche usando metodi più semplici e non invasivi.
Prima di oggi era stato realizzato qualcosa di simile?
Prima di oggi sono state sviluppare delle tecniche per restituire sensazioni tattili con degli elettrodi posti all’interno delle terminazioni nervose del moncone. L’intervento per applicare questi elettrodi, che mandano impulsi elettrici ai fasci nervosi residui dell’arto, è piuttosto invasivo. Questa tecnica è soggetta a limitazioni, perché i pazienti non la gradiscono molto e anche perché la risoluzione che si riesce ad avere è molto bassa: se pensiamo che le fibre nervose che arrivano a una mano sono circa 300.000, un solo elettrodo non può applicare una stimolazione nervosa molto precisa. Lo scopo del nostro progetto è invece quello di far ricrescere le fibre nervose dell’arto sulla pelle del moncone stesso, per sviluppare in maniera più accurata la parte sensoriale. Si tratta cioè di ridare alla pelle del moncone degli stimoli nervosi, che vengono raccolti in modo da aprire un circuito nervoso verso il midollo spinale. Questo richiede un’operazione chirurgica, che viene svolta da uno dei tre partner del progetto, il chirurgo Oskar Aszmann della Medical University di Vienna.
All’interno del progetto c’è quindi una sinergia tra diverse discipline?
Il progetto è appunto un Synergy Grant, proprio perché raccoglie competenze molto diverse, dal chirurgo dell’università di Vienna, a un ingegnere delle neuro-interfacce dell’Imperial College, a noi dell’IIT.
In che modo viene applicata la protesi?
La protesi viene applicata con la tecnica dell’osteointegrazione: similmente a ciò che viene fatto per i denti, viene applicato un perno nella parte ossea del moncone e su questo si collega la protesi. Poi c’è una parte della protesi stessa che va ad avvolgere il moncone, su cui vengono portate le fibre nervose, che ricevono e comunicano informazioni neurali. Dal moncone si danno i segnali di comandano alla protesi, ma si traggono anche le percezioni tattili della protesi stessa.
Questi stimoli vengono comunque tradotti in segnali elettrici?
Sì. Gli stimoli che provengono dalla spina dorsale vengono prima interpretati in senso neurale e poi tradotti in segnali elettrici mediante un sistema di Intelligenza Artificiale. I segnali elettrici servono proprio a far dialogare il sistema neurale con la parte fisica della protesi.
Lo studio di queste protesi di ultima generazione sfocerà in un prodotto che potrà essere acquisito da ospedali e cliniche?
Noi pensiamo che questo studio che stiamo svolgendo sia utile a sviluppare prodotti che possono essere usati da tutti. Bisogna dire che questo specifico progetto si affianca ad altri progetti, che sono più orientati al servizio verso le persone. Questo particolare progetto di cui stiamo parlando è di frontiera, un po’ come il Man on the Moon. In altre parole, è il progetto che spinge la frontiera in avanti. Questo significa che avrà sicuramente ricadute, ma non a breve termine. Nel frattempo, però, questi studi che stiamo affrontando hanno già prodotto altri risultati che stiamo traducendo in tecnologie più largamente disponibili. Le stesse missioni spaziali hanno permesso di sviluppare nuove tecnologie che negli anni sono state sfruttate anche per altri utilizzi. Si pensi ai pannelli fotovoltaici.
Oltre al progetto Natural BionicS, che proseguirà fino al 2025, sta guidando altri progetti annessi?
Abbiamo recentemente vinto un ERC Proof of Concept Grant intitolato WISH (Wearable Integrated Soft Haptic), che appunto si affianca al precedente. In particolare, in quanto Proof of Concept, prende una delle idee del progetto madre e la apporta ad una applicazione industriale e commerciale. Questo ci permetterà di sviluppare un’interfaccia tattile da applicare alle protesi comuni, quelle utilizzate da tutti. WISH è dunque un progetto che sfrutta la conoscenza di tecniche più avanzate per trasferire con semplicità le sensazioni tattili ai portatori di protesi comuni.
Il percorso nasce dieci anni fa, dal primo progetto ERC che ha guidato (come “Soft Hands”, l’ERC Advanced Grant 2012-2017) sulla realizzazione di mani artificiali. Come siamo arrivati a oggi?
Siamo partiti da voler fare mani artificiali, inizialmente per applicazioni industriali. Dopo queste prime applicazioni e la nascita di spin off che hanno cominciato a produrle e a venderle sul mercato, dal punto di vista della ricerca abbiamo cominciato a sviluppare anche tecniche più sofisticate per la realizzazione di protesi. Da questa stessa radice di proprietà intellettuale, è nato cioè questo lungo percorso in cui abbiamo iniziato a sviluppare i primi progetti. Abbiamo inoltre rilasciato in modo “open” i nostri brevetti, cosicché anche altri gruppi potessero utilizzare le nostre idee per sviluppare prodotti che sono anch’essi orientati al mercato delle protesi. Tra questi, il caso di Hannes, la mano protesica che si sta avviando ad essere un prodotto commerciale, sviluppato e ingegnerizzato da Rehab Technologies in collaborazione con INAIL. Spingendo gli studi più in avanti, siamo poi arrivati a concepire il progetto Natural BionicS e da qui continuano a nascere nuove idee, che speriamo siano produttive e soprattutto diano utilità alle persone.