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Tecnologie per la fusione nucleare

Il contributo di IIT

Ignition in inglese vuol dire accensione, e lo scorso 5 Dicembre i ricercatori americani della National Ignition Facility, CA, USA, sono riusciti ad accendere un vero e proprio piccolo “Sole” sulla terra con la tecnica del confinamento inerziale (Inertial Confinement Fusion, ICF), per la prima volta nella storia senza un innesco costituito da una bomba a fissione nucleare.

Non è la prima volta che la fusione nucleare di due elementi leggeri quali deuterio, D, e trizio, T, due isotopi dell’idrogeno, viene prodotta in laboratorio, ma per la prima volta si è ottenuta più energia, quasi il 50% in più, di quella direttamente usata per indurre il fenomeno: un passo decisivo verso una fusione in grado di produrre energia. Finora i “fuochi” di fusione sono sempre stati accesi spendendo molta più energia di quella generata, mentre ora si dimostra che è possibile ottenere una produzione netta.

I ricercatori americani sono riusciti nell’impresa focalizzando un impulso di 200 potentissimi laser su un volume di qualche millimetro cubo contenente deuterio e trizio, causandone l’aumento di temperatura a oltre 100 milioni di gradi Celsius e così innescando gli eventi di fusione tra D e T. La tecnica è simile a quella usata nelle bombe all’idrogeno, ed infatti la NIF nasce negli anni ’60 proprio per studiare tali ordigni eliminando la necessità di test con ordigni veri. Il risultato scientifico, come detto, è storico, ma la strada verso un reattore a fusione in grado di produrre energia pulita e quasi infinita è ancora lunga. Infatti, se consideriamo l’energia elettrica necessaria per produrre i potenti fasci laser di innesco, l’energia prodotta è solo una piccola frazione di quella impiegata. In ogni caso, una volta compiuto il primo passo c’è da aspettarsi una veloce curva di apprendimento e sviluppo tecnologico nei prossimi anni. Questo approccio è completamente diverso da quello del confinamento magnetico (magnetic confinement fusion, MCF), alla base di ITER, in costruzione in Francia, e di DEMO, il futuro dimostratore europeo, nel quale gli atomi di D e T vengono appunto confinati da potentissimi campi magnetici e riscaldati mediante microonde e altre tecniche.  Mentre l’ICF è intrinsecamente impulsata, la MCF, a tendere, dovrebbe produrre energia in maniera continua senza l’impiego di potenti laser, ed è quindi potenzialmente più adatta ad una produzione commerciale.  La cosa interessante è che entrambi gli approcci prevedono, di norma, l’uso della coppia D-T. Mentre il D è disponibile in grandi quantità sulla Terra, il T deve essere fabbricato mediante reazioni nucleari dal litio. Essendo un isotopo dell’idrogeno radioattivo, il T deve essere confinato con un grado di sicurezza non garantito dagli acciai strutturali oggi disponibili. Il nostro contributo alla tecnologia della fusione è un particolare rivestimento ceramico, sviluppato presso i laboratori del Center for Nano Science and Technology dell’IIT, in grado di aumentare l’impermeabilità degli acciai agli isotopi dell’idrogeno, D e T, di diversi ordini di grandezza e resistere alle condizioni estreme previste nei futuri reattori a fusione, semplificandone l’architettura e aumentandone la vita operativa. Questa ricerca è stata premiata nel 2020 dalla commissione europea con il premo SOFT2020, come tecnologia chiave per lo sviluppo della fusione. Essa, assieme ad altre riguardanti nanomateriali abilitanti per la transizione energetica, sempre sviluppate presso i laboratori IIT, è confluita nella start-up X-nano che ho recentemente fondato assieme a Paolo Mutti, PhD, manager di lungo corso. Queste tecnologie saranno infatti strumenti fondamentali per sviluppare batterie più sostenibili ed efficienti, fonti di energia pulita come l’idrogeno e il nucleare di nuova generazione, aumentandone il grado di sicurezza, e permettendoci di avere diversi strumenti in più per la lotta al riscaldamento globale.


* Technologist dell’Istituto Italiano di Tecnologia

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