Politiche inter-settoriali per agire e prevenire le malattie
In base agli accordi di Parigi e al successivo incontro di Katowice si devono ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030 e a zero nel 2050. Si noti che diversi Paesi hanno da tempo una strategia energetica che ha il cambiamento climatico tra i suoi principali obiettivi. Per esempio, il Climate Change Act del 2008 in Inghilterra è stato il primo piano orientato in questo senso e ha posto già allora come obiettivo la riduzione dei livelli di gas serra dell’80% entro il 2050. L’Italia ha recentemente proposto un Piano Energetico Nazionale ispirato alle linee guida Europee (che ha comunque sollevato un certo dibattito).Posto che il cambiamento climatico si combatte principalmente attraverso le scelte energetiche, limitando l’uso di combustibili fossili e promuovendo le fonti rinnovabili, vorremmo tuttavia richiamare l’attenzione su modalità di intervento più ampie, secondo il principio dei co-benefici, che possono contribuire in modo importante alla mitigazione del cambiamento climatico.
La politica deve diventare il più rapidamente possibile inter-settoriale. In particolare, la convergenza tra politiche di mitigazione del cambiamento climatico e di prevenzione delle malattie può portare a enormi vantaggi anche economici. Una riduzione importante (fino al 40-50%) dell’incidenza delle malattie croniche (tumori, diabete, malattie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche) può essere ottenuta con politiche preventive realizzate al di fuori del sistema sanitario (alimentazione, trasporti, agricoltura). Il finanziamento di queste politiche attraverso gli opportuni Ministeri porterebbe a grandi risparmi nel servizio sanitario e avrebbe un impatto sulle diseguaglianze sociali. Ma queste politiche avrebbero anche una ricaduta sul cambiamento climatico, poiché gli stessi fattori di rischio che agiscono sulle malattie croniche sono agenti di cambiamenti climatici.
Il gioco non è a somma zero: sviluppo economico e lotta al cambiamento climatico non sono antitetici. In Inghilterra, per esempio, tra il 1990 e il 2017 le emissioni di gas serra si sono ridotte del 43%, mentre l’economia è cresciuta del 70%. L’errore di molti ragionamenti politici ed economici sta nel credere che diversi obiettivi siano nel loro complesso a somma zero. Non solo l’economia può crescere con un impegno nella mitigazione del cambiamento climatico, ma quest’ultima non comporta necessariamente un contenimento degli obiettivi in altri settori. Dal punto di vista della percezione da parte della popolazione, benché il cambiamento climatico non sia stato finora tra le priorità nei sondaggi di opinione (anche se la situazione è cambiata dopo il fenomeno mediatico “Greta”), esso è una priorità oggettiva, e la politica che qui proponiamo tocca molti dei temi considerati prioritari dalla popolazione: qualità del cibo, salute, qualità dell’aria, trasporti e immigrazione.
Che cosa proponiamo? L’idea di fondo è che agendo con politiche inter-settoriali in diversi settori dell’ambiente si riesce al tempo stesso a mitigare il cambiamento climatico e a prevenire molte malattie, riducendo così la spesa sanitaria. Inoltre gli interventi di mitigazione possono contribuire a creare posti di lavoro. Mentre l’impatto sul clima della mitigazione del cambiamento climatico è a lungo termine e a livello planetario (dunque non facilmente percepibile dalla popolazione), l’impatto sulla salute è a breve termine e geograficamente prossimo, e pertanto più facilmente percepibile dalle popolazioni coinvolte.
Tenere presenti gli effetti sulla salute è molto importante per la scelta delle azioni di mitigazione da mettere in campo. Per esempio, vi sono numerosi composti immessi nell’atmosfera che contribuiscono a modificare il clima: anidride carbonica (CO2), carbonio elementare, ossidi d’azoto e gas fluorurati (per citarne alcuni), alcuni dei quali hanno anche conseguenze per la salute. Se le politiche di mitigazione s’incentrassero esclusivamente sull’anidride carbonica, si perderebbero le ricadute positive per la salute derivanti da un’azione più ad ampio spettro. Una politica basata esclusivamente su cattura e immagazzinamento della CO2 (carbon capture and storage, CCS) non si accompagnerebbe a tutti i vantaggi dell’eliminazione degli altri contaminanti derivanti dalla combustione di carbone e derivati del petrolio, inclusi il particolato, gli idrocarburi aromatici policiclici, i metalli pesanti e altri ancora. Un intervento su agricoltura e allevamenti avrebbe un impatto sulle emissioni di metano, un gas serra 72 volte più potente dell’anidride carbonica.
Alimentazione tra salute e riduzione delle emissioni
Ridurre la produzione e il consumo di carne aiuterebbe a prevenire molte malattie degenerative e infettive. Mentre negli anni ’60 il consumo medio di carne pro capite era di 28g/giorno, oggi è di 99 g/giorno e per il 2050 è stimato di 115 g/giorno. L’agricoltura contribuisce almeno all’11% delle emissioni totali di gas serra di origine umana (5-5.8 Gigatonnellate di CO2-equivalenti per anno), di cui la maggior parte si deve all’allevamento.Il gas serra principale emesso negli allevamenti è il metano, le cui emissioni sono largamente dovute agli animali ruminanti a causa della fermentazione intestinale. Inoltre, il consumo di acqua associato alla produzione di carne è elevatissimo: un terzo dell’acqua usata globalmente nella produzione di cibo riguarda gli allevamenti.
Benché la carne sia un’importante fonte di proteine e contenga diversi nutrienti essenziali (incluse vitamine e ferro), un elevato consumo di carne rossa contribuisce al carico di malattie croniche degenerative, in particolare cardio-vascolari. Vi sono molte fonti alternative di proteine – come i legumi – la cui produzione è più rispettosa dell’ambiente e che potrebbero parzialmente sostituire la carne, portando al doppio beneficio di migliorare la salute e mitigare il cambiamentio climatico. Le emissioni di CO2 per grammo di proteine sono 200 volte minori per i legumi che per la carne, e il consumo di acqua nella loro produzione è 5-6 volte minore.
Trasporti e riscaldamento
Un altro settore in cui è possibile ottenere co-benefici è quello dei trasporti. Una politica di trasporto attivo (bicicletta, piedi, mezzi pubblici) ha il triplo effetto di mitigare le emissioni di gas serra, prevenire le malattie legate all’inquinamento atmosferico (malattie polmonari, asma, tumori, malattie cardiovascolari, possibilmente anche malattie neurologiche) e aumentare l’attività fisica, e dunque prevenire l’obesità e il diabete. Tra il 2019 e il 2030 vi saranno in Italia centinaia di migliaia di casi di malattia attribuibili all’inquinamento atmosferico, largamente prevenibili, per esempio attraverso la diffusione di auto elettriche oltre che con il trasporto attivo.
Una delle ricadute è anche una riduzione delle diseguaglianze nella salute. I segmenti più poveri della popolazione sono maggiormente esposti a inquinamento atmosferico in quanto residenti in aree con meno spazi verdi e con una maggiore densità di traffico di passaggio.
Un problema connesso, di minore importanza in alcune aree dell’Italia, è quello del riscaldamento delle abitazioni: le case con maggiori problemi di riscaldamento sono case vecchie e male isolate, spesso abitate da persone con reddito più basso. Una politica energetica di migliore isolamento porterebbe vantaggi per la salute (minore esposizione a freddo e umidità), per la spesa familiare in combustibile, e per il clima (meno emissioni). Vi sono alcune interessanti iniziative in Inghilterra, come il Seasonal Health Intervention Network (SHINE), in cui un insieme di soggetti (tra cui i medici di base) segnala le famiglie con problemi di riscaldamento, cui vengono poi fornite indicazioni pratiche e sussidi. Anche la disponibilità di spazi verdi ha un alto numero di ricadute positive: assorbimento della CO2, migliore qualità dell’aria e della vita, un effetto sulla salute mentale e un incoraggiamento a usare la bicicletta o camminare (e dunque anche una ricaduta positiva sull’obesità).
I co-benefici sulle migrazioni
Benché il tema dell’immigrazione possa sembrare molto lontano da quello del cambiamento climatico, non è invece così improbabile trovare co-benefici anche qui. La Banca Mondiale ha stimato che nel 2050 ci saranno 140 milioni dimigranti per i cambiamenti climatici, largamente dall’Africa verso l’Europa e dall’America Latina verso il Nord America. Pensare di impostare tutta la politica sul contenimento fisico (muri, blocco dei porti) è miope e irresponsabile. Mitigare il cambiamento climatico è indispensabile per evitare quei fenomeni come la siccità e l’impoverimento delle terre coltivabili che stanno alla base delle migrazioni e dei conflitti locali.
Le stime sui posti di lavoro
Naturalmente l’obiezione più comune alla transizione verso le energie rinnovabili e una nuova politica dei trasporti è la perdita di posti di lavoro. In realtà le energie rinnovabili sono in grado di creare un numero elevato di posti di lavoro, stimati nel 2015 a 7,7 milioni nel mondo (direttamente e nell’indotto). Una rassegna di studi condotti in diversi Paesi ha mostrato che rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi darebbe origine a un guadagno netto dallo 0.5% al 2% nei posti di lavoro nel mondo, corrispondente a un totale di 15-60 milioni. Alcuni ricercatori hanno calcolato che la mitigazione del cambiamento climatico, agendo sulle emissioni di gas serra, potrebbe prevenire globalmente tra 0.5 milioni di morti premature entro il 2030 e 1.3 milioni entro il 2050 grazie all’abbattimento del particolato (PM2.5). I benefici economici associati a questo obiettivo sarebbero di 50-380 dollari USA per tonnellata di CO2, un ammontare che supererebbe i costi sostenuti.
In conclusione, data l’importanza dei risultati ottenibili con la politica dei co-benefici, complementare rispetto alla transizione verso energie rinnovabili, riteniamo importante (a) che i governi si orientino verso politiche fortemente inter-settoriali, (b) che venga creato un fondo per i co-benefici e la collaborazione tra Ministeri e (c) che venga creata un’istituzione internazionale per il cambiamento climatico analoga all’OMS, di cui si sente oggi fortemente il bisogno. Un errore nei calcoli economici è considerare i costi per la mitigazione del cambiamento climatico ma non anche le ricadute positive per la salute e dunque i risparmi consentiti in termini di minori ospedalizzazioni e maggiore produttività lavorativa.
Luca Carra è direttore di Scienzainrete e segretario del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Si occupa di scienza, ambiente e salute. È socio dell’Agenzia Zadig. Collabora con varie testate, fra cui Corriere della Sera. È autore di diversi libri, fra i quali “Polveri & Veleni” e “Enigma nucleare” scritti insieme a Margherita Fronte. Insegna comunicazione ambientale al Master di comunicazione scientifica della Sissa (Trieste) e del MAcsis (Università Bicocca, Milano)