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Uno sguardo dal cielo

Intervista a Tommaso Ghidini, Responsabile della Divisione di Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Agenzia Spaziale Europea e autore del saggio Homo cælestis

Il Dr Tommaso Ghidini è il Capo della Divisione di Strutture, Meccanismi e Materiali dell’Agenzia Spaziale Europea. Con laboratori e centri di calcolo di fama e livello mondiale, la Divisione garantisce l’integrità strutturale dell’intera gamma di programmi e missioni spaziali dell’ESA. Dopo il Dottorato di Ricerca (Ph.D.) in meccanica della frattura sperimentale e numerica, conseguito in Germania al Centro Aerospaziale Tedesco (DLR) e prima di raggiungere l’ESA, il Dr Ghidini ha lavorato in Airbus, sui maggiori programmi civili e militari dell’industria aeronautica europea. Collabora con il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, dove tiene il primo corso europeo sulla stampa 3D di componenti per lo spazio e siede nei consigli direttivi di istituzioni governative e aziende private in tutta Europa e negli Stati Uniti.

Abbiamo in programma delle missioni che guardano ai misteri più profondi dell’universo, come per esempio quelle tramite le quali studieremo i buchi neri. Quale è, a suo avviso, il futuro dell’esplorazione?
Questa è un’epoca straordinaria per l’esplorazione spaziale, in particolare per quella umana. Le agenzie di molti paesi, e in particolare l’ESA, stanno lavorando per tornare sulla Luna non solo a scopo “dimostrativo”, come all’epoca delle Missioni Apollo, ma questa volta per rimanere sempre più a lungo fino addirittura, in prospettiva, a creare “insediamenti” umani stabili. Parallelamente si lavora alla costruzione dell’astronave ORIONE, che porterà il suo equipaggio di donne e uomini a 70000 km dalla Luna verso lo spazio profondo, il punto più distante mai raggiunto da un essere umano. E alla realizzazione del DEEP SPACE GATEWAY, una nuova stazione spaziale, che orbitando non più attorno alla Terra ma attorno alla Luna assolverà a tre funzioni fondamentali: supporto alle Missioni di superficie, rifornimento delle navicelle che si dirigeranno vero lo spazio profondo e verso Marte e, se un giorno si creeranno le giuste condizioni politiche, sostegno logistico alla costruzione di una base stabile sulla superficie lunare. In questo “ecosistema”, accanto alle agenzie spaziali governative, troviamo anche i player privati in una dimensione che affianca alla ricerca e alla scienza anche la dimensione economica. Per quanto riguarda invece l’ambito puramente scientifico studiamo Missioni che indagando sulla natura dei buchi neri e della materia oscura, nell’incessante tentativo di rispondere alle “grandi domande” che riguardano la nostra origine, il big bang, la nascita dell’universo, i meccanismi di vita della nostra Stella e il suo influsso sul pianeta Terra, solo per citarne alcune…

Per esplorare il cosmo sono necessarie non solo sonde performanti ma anche uno studio molto approfondito sui materiali che le compongono, perché devono viaggiare e lavorare in un ambiente ostile. Quanto è importante la ricerca dei materiali ed il processo di trasferimento tecnologico?
I risultati più importanti in ambito dell’esplorazione spaziale sono stati ottenuti grazie a vere e proprie “rivoluzioni” nell’ambito dei materiali e dei processi manifatturieri. Se parliamo quindi di materiali, le sfide che ci troviamo ad affrontare sono molteplici: le strutture per lo spazio devono essere prima di tutto leggere e con volumi ridotti, devono garantire alte prestazioni, affidabilità, anche con poca o nessuna manutenzione (nella maggior parte dei casi, una volta lanciati non possiamo più fare niente per loro) e devono essere capaci di resistere alle temperature estreme dello spazio (sia altissime che bassissime e una combinazione di esse) che, come siamo soliti sottolineare, è un ambiente estremamente inospitale, il più ostile nel quale un prodotto ingegneristico umano è chiamato a operare. A rendere il tutto ancora più complesso c’è anche il fatto che, a differenza dell’ambito aeronautico o di quello automobilistico, si lavora su “pezzi” in numero molto ridotto e quindi è estremamente più difficile creare una economia di scala. Inoltre, in vista di viaggi a lunga durata che prevedano anche, come scenario possibile, il nostro “insediamento” in altri mondi dobbiamo ottimizzare i processi produttivi, renderli sostenibili a livello ambientale e economico: l’utilizzo delle risorse planetarie e il riciclo sistematico dovranno diventare stato dell’arte, così come l’out of Earth manufacturing. Addirittura pensiamo di “riciclare” i satelliti inoperativi che oggi inquinano le orbite basse attorno alla Terra, per farne materiale da costruzione nello spazio e sulla Luna.

Quale pensa possa essere il contributo dei player privati in termini tecnologici e di comunicazione?
Trovo straordinario che in questo ambito i player privati siano entrati e stiano giocando un ruolo importante, anche se va ricordato che tra di loro esistono molte differenze in termini di obiettivi, di capacità e di modelli di business. Musk sta lavorando in sinergia con la NASA, sta progettando di raggiungere a breve anche il pianeta rosso non solo per monetizzare i suoi investimenti in termini di ricerca e di infrastrutture ma anche per dare all’umanità una “nuova “prospettiva”; Bezos invece ha un progetto che si può definire più semplice perché consente a privati cittadini, anche senza specifica formazione come astronauti, di “accedere” allo spazio (ha fatto anche volare il novantenne Captain Kirk di Star Trek) mentre per Branson la priorità è quella di utilizzare lo spazio orbitale e suborbitale con velivoli ad alte prestazioni che consentano di trasportare merci e, in futuro, anche passeggeri ad altissima velocità, abbattendo le distanze sulla Terra. Quello che è certo è che tutti stanno contribuendo a trasformare la comunicazione del “mondo spaziale”, aumentando il grado di condivisone e rendendolo davvero accessibile a tutti. Il lancio di STARMAN ha segnato, a mio avviso, il vero momento di passaggio tra un lancio a puro carattere scientifico e tecnologico ad uno nel quale la scienza si fonde ad un marketing e ad una comunicazione che si integrano rendendo il tutto credibile e comprensibile.

L’Italia è il terzo contribuente dell’agenzia spaziale europea e ha una forte tradizione spaziale grazie a un enorme contributo alle attività dell’agenzia. Quale sarà il suo ruolo in ambito spaziale?

Da italiano che lavora da molti anni all’estero mi sento orgoglioso che il mio Paese contribuisca al mondo dello spazio e della ricerca non solo in termini economici ma anche umani, con talenti riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Ad oggi stiamo partecipando a livello industriale allo sviluppo di razzi ancora più performanti rispetto a quelli esistenti oltre che a “shuttle” riutilizzabili, alla costruzione del DEEP SPACE GATEWAY e con una serie di start up di successo alla realizzazione di un ecosistema dedicato e sempre più “profitable”. Università, centri di ricerca di eccellenza come IIT diventano quindi cruciali perché con i loro ricercatori formano il “tessuto connettivo” di questo mondo complesso.

Parliamo di Marte. Noi non cerchiamo di andare su un altro pianeta perché riteniamo che la nostra terra si avvii alla fine della sua vita. Quali sono le motivazioni che ci spingono ad intraprendere un viaggio così difficile e quali tecnologie ci saranno di supporto?
È vero, non vogliamo andare su Marte perché pensiamo che la nostra Terra sia alla fine della sua vita, ma perché Marte potrebbe fornirci informazioni utilissime sul futuro del nostro pianeta. Per quanto questi due pianeti sembrino oggi cosi dissimili in realtà non lo sono così tanto e comprendere se sotto il suolo marziano c’è ancora vita attiva o c‘è stata, ci potrà far capire molto sul nostro futuro. Atterrare però sul suolo rosso comporta molti rischi: lo conosciamo ancora relativamente poco arrivarci è difficile, basti pensare che circa la metà delle missioni che hanno cercato di raggiungerlo sono fallite. Attraversarne l’atmosfera è complesso, si rischia di rimbalzare, o di perdere quota e bruciarsi o sfracellarsi. Se dovessimo pensare ad una Missione umana, poi, dovremmo considerare il pericolo dovuto all’esposizione a enormi dosi di radiazioni. Quindi per compiere questo “balzo” epocale dobbiamo concentrarci su tecnologie che accorcino il tempo di viaggio, ne garantiscano l’autonomia elettrica e lo rendano più sicuro per uomini e macchine, assicurandone la sostenibilità e l’indipendenza dai rifornimenti terrestri.

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