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COP 26: un bilancio positivo, anche per il ruolo giocato da ricerca e innovazione

Luca Carra, Direttore di Scienzainrete ha seguito con la delegazione del nostro Paese Cop 26 a Glasgow. Gli abbiamo chiesto un commento

Mai come per la COP 26 che si è tenuta a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre al si sono letti commenti più contrastanti. Per alcuni osservatori è stato un clamoroso fallimento; addirittura climatologi famosi se ne sono andati prima del tempo esprimendo profonda delusione. Per altri, se non proprio un clamoroso successo all’altezza delle sfide che ci attendono, la ventiseiesima Conferenza delle Parti dell’UNFCC che si è svolta sulle rive del Clyde è stata un passo avanti rispetto all’Accordo di Parigi del 2015.

Ho passato una settimana alla COP con la delegazione italiana e devo dire che la mia impressione  è di un relativo successo,  “un bicchiere mezzo pieno”. Come definire altrimenti l’aver messo d’accordo quasi 200 Stati – fra ricchi, emergenti e poverissimi – sull’obiettivo cardine di Parigi: fare di tutto per mantenere l’aumento di temperatura medio globale “ben al di sotto” dei 2°C e possibilmente entro 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale? Si tratta – bisogna dirlo – di una missione possibile ma molto complessa, che richiederebbe un disinvestimento immediato dalle fonti fossili a favore delle energie rinnovabili e della mobilità a zero emissioni. Da questo punto di vista, quanto contenuto nel Patto climatico di Glasgow è in linea sia con l’Accordo di Parigi sia con la strategia europea (Green Deal) e statunitense di ridurre le emissioni del 45% entro il 2030 rispetto al 2010 e di arrivare allo “zero netto” a metà secolo.

Il punto sulle decine di altre decisioni prese dalla COP 26 è stato fatto con la consueta accuratezza dal sito Climalteranti. Qui ci basta ricordare che fra gli aspetti positivi più importanti c’è l’impegno sottoscritto da centinaia di Stati di mettersi alle spalle nei prossimi anni le centrali a carbone, ma anche di smettere di dare sussidi a nuovi investimenti alle fonti fossili effettuati all’estero (più problematico azzerare i sussidi rivolti al mercato interno). Rilevante è anche l’impegno di arrestare la deforestazione entro il 2030, anche se ci sono dubbi che una promessa per il momento non vincolante come questa possa davvero essere rispettata da Stati firmatari come il Brasile di Bolsonaro. Un altro impegno rilevante, noto come “Methane pledge” consiste nel ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, avviando quindi la riduzione progressiva del gas serra in assoluto più potente (dalle 20 alle 80 volte più della CO2). Questi e altri impegni volontari sono stati sottoscritti anche dall’Italia. Passando invece  al testo vero e proprio del Patto di Glasgow, approvato all’unanimità dopo non poche schermaglie e “diluizioni” va rilevato soprattutto la definizione dei meccanismi del mercato del carbonio che regolano la possibilità da parte delle aziende che hanno maturato “crediti” nel loro percorso di decarbonizzazione di venderli a chi ha ancora “debiti”. In altre parole, chi sta ancora emettendo gas serra superiori agli obiettivi fissati può compensare investendo in attività che riducono tali emissioni (es. una centrale eolica), con regole che impediscono un doppio conteggio di tali risparmi (per esempio da parte del Paese in cui è stata costruita la centrale e dal Paese che ha finanziato l’iniziativa), come è capitato in passato.

Un punto cruciale discusso a lungo nelle negoziazioni è stato infatti quello di rendere più attendibile e uniforme la misura e rendicontazione  delle emissioni, vale a dire i criteri di trasparenza definiti nel testo finale della COP 26. Così facendo si è finalmente completato il cosiddetto “Libro delle regole” che rende operativo l’Accordo di Parigi.

Un risultato non trascurabile di questa complessa attività negoziale svolta dalle delegazioni nazionali è l’impegno preso da tutti gli Stati che fanno parte della Convenzione di presentare entro il 2022 i loro “Contributi nazionali volontari” (in inglese Nationally Determined Contributions, NDCs) allineati alle ambizioni di mitigazione confermate a Glasgow. Secondo la ricostruzione fatta dalla associazione Carbon Action Tracker, molti fra i paesi avanzati sono già in linea con questa traiettoria (qui la mappa mondiale degli NDCs aggiornata). Tuttavia lo sforzo è che tutti i paesi si mettano in regola. Se così non fosse, le emissioni crescenti di giganti come la Cina e l’India, che fanno un uso molto intenso di carbone, porterebbero inevitabilmente a superare la soglia di sicurezza dei 2°C per fine secolo. Se una delusione c’è stata, nel bilancio della COP di Glasgow, è il mancato raggiungimento dei 100 miliardi di dollari all’anno da destinare principalmente ai Paesi più poveri nella lotta al cambiamento climatico. Al momento, la consistenza di questo fondo si aggira intorno agli 80 miliardi, ma va registrato il fatto che la pressione crescente esercitata anche dalle migliaia di rappresentanti di attivisti ed esponenti della società civile rende possibile questo traguardo entro il 2023.

Un segnale positivo messo nero su bianco nel Patto di Glasgow è invece il raddoppio dei fondi destinati all’adattamento, cioè a quelle misure naturali e infrastrutturali per aumentare la resilienza dei territori più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale, più intensi in Africa, Asia, America Latina, nonché nelle piccole isole che rischiano a breve di finire sott’acqua a causa dell’innalzamento del livello del mare.

Un’ultima nota positiva che ci portiamo a casa da Glasgow è l’accento posto sulla centralità della scienza e dell’innovazione per la lotta climatica. Molti concetti chiave contenuti nell’ultimo report dell’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC), pubblicato lo scorso 9 agosto, sono stati riportati esplicitamente nel documento finale della COP. Segno che le resistenze da parte di molti Stati a riconoscere la gravità degli impatti climatici e il senso di urgenza trasmessa dai report dell’agenzia internazionale delle Nazioni Unite sono finalmente state superate. Non è un caso che la regia britannica abbia previsto un’intera giornata della COP 26 dedicata a “Scienza e Innovazione”, dove i ricercatori di diversi Paesi hanno avuto modo di presentare i progetti di frontiera nel campo del monitoraggio e early warning ambientale, ma anche nelle tante soluzioni proposte in chiave di innovazione tecnologica, naturale e sociale.

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