L’evoluzione del dibattito mediatico prima e durante la Fase 2
Nell’arco di pochi mesi, con una rapidità sorprendente, la pandemia di COVID-19 ha alterato l’assetto sociale ed economico di buona parte dei paesi del mondo. L’emergenza sanitaria ha assunto ben presto i tratti di una crisi globale, con la prospettiva di un rischio di instabilità sistemica che ha pochi precedenti nella storia recente.
L’evoluzione incalzante dello scenario ha imposto misure straordinarie per fronteggiare i diversi piani di emergenza: la salvaguardia della salute pubblica, la tutela dell’occupazione, il sostegno alla liquidità delle imprese. Accanto alle iniziative volte a contenere gli effetti più immediati della crisi, si è reso necessario avviare tempestivamente un piano per la ripresa economica e individuare una prospettiva di sviluppo di lungo periodo, anche attraverso una valutazione accurata dei possibili scenari futuri, analizzati non solo in termini di probabilità ma anche di desiderabilità.
Proprio in risposta a quest’ultima necessità, con una sollecitudine raramente riscontrata in passato, i più influenti leader di pensiero contemporanei hanno dato vita a un vivace dibattito mediatico in merito alla valenza storica e alle possibili conseguenze sistemiche dell’attuale pandemia. Tra i contributi di maggiore respiro è opportuno segnalare, sia pure a mero titolo esemplificativo, quelli di Yuval Noah Harari, Jeremy Rifkin, Margaret MacMillan, Jean-Paul Fitoussi, Thomas Piketty, Jacques Attali, Vaclav Smil. Si tratta di interventi stimolanti ma necessariamente interpretativi, in quanto i dati sono ad oggi ancora frammentari e il fenomeno resta tuttora sfuggente e in rapida evoluzione. Se è ancora difficile intuire gli esiti del dibattito in corso, è invece possibile individuare con chiarezza un nucleo ristretto delle questioni più rilevanti e che certamente segneranno il panorama culturale dei prossimi anni.
Il dibattito mediatico è apparso immediatamente più serrato soprattutto intorno alla valutazione delle diverse opzioni in campo per la gestione delle emergenze. In generale, è prevalsa una riflessione che prospettava una successione di fasi di intervento, secondo lo schema tradizionale del relief e recovery: dalle iniziali misure sanitarie e di distanziamento sociale, alle iniziative di supporto immediato all’economia, fino alla pianificazione della ripresa produttiva, attraverso il rilancio degli investimenti, il sostegno delle esportazioni e dei consumi interni.
Tuttavia, già nelle prime settimane successive alla dichiarazione dello stato di pandemia, nonostante la drammaticità del presente, una parte consistente del confronto culturale ha rivolto la sua attenzione sul futuro. Un tentativo, indubbiamente audace, che ha visto scendere in campo i più autorevoli intellettuali internazionali, nella convinzione che al termine della pandemia l’assetto mondiale non avrebbe potuto restare immutato e che, nonostante l’incertezza del presente, non fosse troppo presto per guardare avanti, come ha affermato Vaclav Smil nel suo illuminante articoloCOVID-19: Acknowledging that we don’t have all the answers is the only basis for effective action1.
Sullo sfondo di questa riflessione collettiva c’è la consapevolezza di un mondo sempre più complesso, dove cresce l’interdipendenza delle attività umane, generando non solo nuove opportunità da cogliere ma anche vulnerabilità ormai sistemiche. Un mondo dove le crisi locali possono, con velocità un tempo impensabili, evolvere in instabilità globali.
Il principio dell’efficienza che ha guidato le scelte economiche negli ultimi decenni appare oggi inadeguato a fronteggiare la complessità del mondo odierno. Comincia a farsi strada l’idea che sia necessario un modello di innovazione e di sviluppo più evoluto, in grado di coniugare insieme efficienza e resilienza. Questo cambio di paradigma è forse l’indicazione più lungimirante emersa finora nel dibattito culturale sugli scenari futuri post-pandemia. Nel suo articolo The socioeconomics of pandemics policy2, Dennis J. Snower mostra, in modo approfondito, come integrare l’attuale orientamento all’efficienza con politiche di resilienza per conferire al sistema globale la capacità di resistere agli shock e di generare rapidamente nuovi punti di equilibrio.
Un altro aspetto rilevante del dibattito in corso è l’interesse emerso verso il tema della sostenibilità. A partire dai punti cardine dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, diversi interventi ritengono sia necessaria nei prossimi anni una regolamentazione globale in grado di garantire maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Si tratta di una linea di pensiero che riprende la prospettiva del Green New Deal europeo e propone di adottare su scala sempre più estesa i principi dell’economia circolare.
Più controverse appaiono altre questioni sviluppate nel dibattito in corso. Fra di esse va annoverato il tema, molto dibattuto negli ultimi mesi, della necessità di apportare profonde trasformazioni all’attuale modello di globalizzazione. Una riflessione ampia che vuole contenere un possibile aggravamento delle disparità tra le nazioni e tra i ceti sociali, suggerendo la necessità di dare vita a un nuovo contratto sociale e di estendere la nozione di bene comune. In questa chiave viene interpretato anche il rinnovato protagonismo dello Stato, emerso con forza nella gestione delle fasi più critiche dell’emergenza pandemica. In tal senso si confida in piani articolati di investimenti pubblici, a sostegno della sanità, della ricerca scientifica e dell’ammodernamento delle infrastrutture, sia fisiche che immateriali. In tema di governance multilivello, una parte del confronto culturale sta ipotizzando di ridefinire il ruolo futuro degli organismi sovranazionali e delle istituzioni multilaterali, anche in considerazione dei futuri equilibri geopolitici tra i paesi leder dello scenario globale e delle dinamiche all’interno dell’Unione Europea.
Un giudizio largamente condiviso emerge invece sul ruolo centrale che la tecnologia assumerà nel mondo post-pandemico. Già nelle prime fasi di diffusione del virus, la ricerca scientifica e la tecnologia hanno fornito un contributo cruciale per la conoscenza del fenomeno epidemiologico in atto e per la messa a punto di strumenti di intervento, mostrando una tempestività e una capacità di risposta che non hanno precedenti. La lunga fase di distanziamento sociale è stata poi l’occasione per molti di sperimentare, in prima persona, un utilizzo alternativo dei propri dispositivi tecnologici, adottando modalità di smart working, partecipando ad eventi online e frequentando lezioni a distanza. Un insieme di esperienze di socializzazione mediate dalla tecnologia che ha contribuito a colmare il vuoto creato dalla sospensione forzata della quotidianità e delle abitudini sociali. Esperienze che promettono di trovare forme di prosecuzione anche in futuro.
Ma è soprattutto sul piano valoriale che l’odierno dibattito culturale assegna alla tecnologia un ruolo innovativo e di primo piano. Si fa strada la convinzione che le tecnologie avranno una funzione rilevante nella costruzione di un mondo più sostenibile, efficiente ma al tempo stesso resiliente. S’intravede la speranza di un mondo futuro più attento al bene comune, ispirato da un umanesimo tecnologico, dove ogni parte del pianeta possa essere considerata degna di attenzione etica.
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RIFERIMENTI
1- Vaclav Smil. “COVID-19: Acknowledging that we don’t have all the answers is the only basis for effective action”.
2- Dennis J. Snower. “The socioeconomics of pandemics policy”