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Il motore a quattro tempi per l’archiviazione dei dati

Un team dell’IIT in collaborazione con l’Università Tecnica di Vienna, l’Università di Groningen e Rutgers ha pubblicato su Nature lo studio che descrive un nuovo paradigma per un data storage più sicuro e sostenibile

Lo studente Thomas Kain dell’Università Tecnica di Vienna pensava al solito errore, quel genere di errori che, per quanto formativo per chi lo commette, non porta a nulla di buono, le sue misure infatti non erano d’accordo con i risultati aspettati. Questa volta però, il suo supervisore Prof. Pimenov ha notato che il “colpevole” era  in realtà l’allineamento errato del campo magnetico durante una misura che gli ha permesso di osservare sperimentalmente un fenomeno mai registrato prima, un doppio ciclo di isteresi, un comportamento anomalo per l’ossido di manganese gadolinico (GdMn2O5), un materiale multiferroico studiato per la realizzazione di dispositivi per l’immagazzinamento dati.Quello che si è osservato è un nuovo paradigma di “interruttore” non più descritto da due stati (0, 1) ma da quattro. Questo modello è assimilabile ad un motore a quattro tempi “per atomi” dove l’albero a gomiti converte il movimento dall’alto in basso (lo spin degli atomi) in un movimento circolare.Questo meccanismo, inizialmente considerato inspiegabile, è stato descritto da Louis Ponet e colleghi nella recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista Nature. Ponet e Sergey Artyukhin, responsabile della linea di ricerca Quantum Materials Theory di IIT e corresponding author dello studio, sono riusciti a capire il fenomeno e modellarlo grazie a simulazioni computerizzate, introducendo un concetto totalmente nuovo con importanti ricadute in computazione e archiviazione di dati.Negli hard drive i dati sono rappresentati con i due stati di un materiale magnetico, e il cambiamento tra gli stati implica produzione di calore ed per questo che molte server farm si trovano in paesi “freddi”, per esempio in Islanda, per risparmiare sugli impianti di raffreddamento. Il tipo di interruttore che è stato scoperto potrebbe richiedere meno energia sia per il cambio di stato sia per il mantenimento di temperature basse e quindi portare alla realizzazione di nuovi dispositivi, più sostenibili e più efficienti per il data storage.Potremmo ad esempio realizzare delle server farm più economiche e sicure in quanto non hanno bisogno di condizionatori, non producono calore e hanno una capacità di immagazzinamento maggiore. Questa tecnologia potrebbe poi applicarsi anche su dispositivi mobili o in tutti i casi in cui è necessario “registrare” dati in formato digitale.Per arrivare ad una reale applicazione la strada però è ancora lunga. Sarà necessario trovare un modo per riprodurre il fenomeno a temperatura ambiente studiando anche il comportamento di altri materiali posti nelle stesse condizioni.La nostra società ogni giorno produce una quantità crescente di dati che rappresentano un bene prezioso in tutti i campi della scienza e questa ricerca sembra andare proprio verso l’obiettivo di gestire un problema concreto che in futuro dovremo sicuramente affrontare. Forse stiamo davvero assistendo alla nascita di una nuova generazione di dispostivi basati su un nuovo paradigma di interruttore e tutto solamente per una piccola imprecisione di uno studente.


Link al paper: https://www.nature.com/articles/s41586-022-04851-6

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