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13/09/2019

Jeffery Deaver, “Il collezionista di ossa”: Ambientare un romanzo all’ IIT? Fantastico!

Annissa Defilippi

Il maestro del crime, raggiunto da OpenTalk, racconta il suo rapporto con la tecnologia e pensa a una visita all’Istituto

Mentre risponde alle nostre domande, Jeffery Deaver passeggia tra le fontane in piazza De Ferrari. «Sono in un posto bellissimo, con tanta storia intorno a me». Una città poco tecnologica? «Il giusto», risponde lo scrittore americano, tra i più apprezzati autori di crime al mondo. «Il mio cellulare ha un segnale migliore qui che in buona parte degli Stati Uniti e il racconto nuovo, che ho appena scritto, l’ho mandato via internet da una Freccia di Trenitalia».

Il papà di Lincoln Rhyme e Amelia Sachs protagonisti de “Il collezionista di ossa”, dopo 40 romanzi, torna con “Il gioco del mai” edito da Rizzoli, che affronta ancora una volta i pro e contro della tecnologia.

Jeffery Deaver dall’inizio della sua produzione letteraria, quanto la tecnologia ha influenzato il suo lavoro?

«In due modi finora. Uso la tecnologia ovviamente per scrivere, la uso tanto, procurandomi il computer migliore che c’è sul mercato e utilizzando tutti i motori di ricerca che ci sono in circolazione. La tecnologia ha poi ovviamente anche un impatto sul contenuto dei libri che scrivo, perché cerco sempre di trovare l’esperienza più spaventosa possibile e le idee più paurose che esistono per spingere il lettore a voltare la pagina».

La tecnologia è di sicuro il file rouge della produzione letteraria di Deaver. In “Profondo blu” l’autore si è occupato del tema degli hacker, nella “Sedia vuota” il tema centrale era invece quello dei data mind (la ricerca di informazioni riservate e il rischio del furto di identità), nel “Bacio di acciaio” ha esplorato il tema dei rischi degli “smart product”, tutti quei elettrodomestici con connessione online e si è domandato come questi possano essere in qualche modo vittima di frodi online. Argomento dell’ultima fatica letteraria di Deaver è invece il mondo dei videogiochi online, di quanto possano essere insidiosi.

Nel suo libro parla di game; nella visione comune il gioco è sempre stato qualcosa che aiuta grandi e bambini a stare meglio, ora i videogame sono invece inseriti nella parte dark della nostra esistenza, perché?

«Come qualunque altra cosa c’è un aspetto positivo e uno negativo. Come sottolineo nel mio libro i videogiochi possono essere meravigliosi sotto diversi punti di vista soprattutto per migliorare alcune condizioni fisiche e mediche molto serie e aiutare le persone a socializzare o a imparare alcune competenze; ma se la gente sviluppa un’ossessione per il gaming c’è un pericolo insito nel giocare a quel videogioco. Io ho cercato di essere equilibrato nell’analisi che ho fatto e, se posso aggiungere, le ricerche dimostrano che giocare a un videogioco violento non porta automaticamente a un comportamento violento a meno che la persona non sia già predisposto alla violenza».

Nel suo libro compare prepotente questa idea di povertà o comunque di una società che si è impoverita. Come può essere che con lo sviluppo tecnologico che dovrebbe aiutare l’uomo, siamo ancora messi così male?

«Il problema non è certamente la tecnologia, il problema è il sistema economico, il sistema fiscale. Anzi nell’ambiente della Silicon Valley, io sottolineo che c’è una disparità economica straordinaria ma quelli che davvero hanno ricchezze incredibili e astronomiche sono pochissimi anche lì. Quella ricchezza è soprattutto a Wall Steet o nella City di Londra o comunque nel mondo finanziario internazionale che ha enormi quantitativi di soldi ma non crea prodotti come per esempio viene invece fatto nella Silicon Valley, che comunque fornisce un microcosmo interessante sulla disparità economica che esiste al nostro mondo».

Qual è la sua visione del futuro? Vivremo in una società controllata dagli strumenti che stiamo inventando o l’uomo resterà al centro?

«Io credo che l’uomo sarà comunque al centro della società però sicuramente saremo marginalizzati enormemente dalla crescente introduzione della tecnologia nella nostra vita»

Molti suoi libri sono diventati film qual è il suo parere sugli ultimi prodotti cinematografici?

«Sono molto contento dei film tratti dai miei romanzi e tra l’altro la rete televisiva NBC sta realizzando una serie televisiva sul Lincoln Rhyme intitolata “Lincoln” che uscirà negli Stati Uniti a dicembre».

Cosa ne pensa del nostro Paese non solo dal punto di vista ambientale, gastronomico ma dal punto di vista della capacità innovativa e tecnologica?

«L’Italia la amo da sempre proprio per l’amore per la cultura, per la lettura e per la storia. Fondamentalmente credo che il popolo italiano sia un popolo molto amichevole di persone cordiali che fa sentire a casa propria chiunque in qualche maniera sia una persona creativa. Mi piacciono le automobili e il cibo, mi piacciono gli abiti italiani e pure il vino. È un tecnologia nel modo giusto»

L’IIT è uno dei maggiori centri di ricerca in Italia, se vorrà ambientare una parte del suo prossimo libro tra i nostri robot e le nostre tecnologie, noi l’aspettiamo!

«Mi piacerebbe tantissimo farlo! Accolgo l’invito»