Science, Technology and Innovation Outlook 2023, un’analisi del nuovo report OCSE
Tempi difficili ma interessanti si prospettano. Così si potrebbe riassumere il nuovo Outlook dell’OCSE dedicato a a ricerca, tecnologia e innovazione (1). Il documento cade dopo una lunga pandemia e una guerra che non accenna a finire. Non è quindi una sorpresa che si preveda che la ricerca scientifica globale aumenti gli investimenti sui temi securitari e legati alla difesa, negli ultimi anni piuttosto bassi. Non solo i sistemi d’arma, ma anche l’IA e la biologia sintetica sono interessati da questa spinta. La polverizzazione delle catene di valore provocata da guerra e pandemia spinge le principali economie a riportare in casa (o quanto meno a casa di amici) le principali produzioni strategiche come quella dei semiconduttori, pericolosamente concentrate in piccoli stati come Taiwan, su cui si allunga l’ombra cinese. Stesso discorso vale per le materie prime critiche per la transizione digitale e quella energetica, distribuite irregolarmente sul Pianeta. E’ questa la ragione per cui quasi tutti i Paesi sviluppati stanno editando i loro piani di sviluppo scientifico e tecnologico a favore di chip e IA (MUR lo sta facendo con il Piano nazionale della ricerca ’21-’27) in nome di un sovranismo tecnologico che sembra cozzare con la natura aperta e globale che ha caratterizzato per decenni l’ethos liberista dello sviluppo. Anche l’Europa sta rafforzando il Defence Fund e ha elaborato il concetto di “Sovranità strategica”, che è una formula molto europee per dire che d’ora in poi chi fa per sé fa per tre. Da parte sua gli Stati Uniti, dopo una gestazione molto tribolata, hanno finalmente varato l’Inflation Reduction Act. Anche qui il nome non deve ingannare: si tratta della più grande operazione di sostegno dell’industria interna con misure protezioniste, in buona parte a favore della transizione verso la neutralità climatica.
Lo sforzo per azzerare le emissioni climalteranti a metà secolo prosegue ma – diciamo la verità – stancamente. Come sempre prima di ogni COP, anche quest’anno cominciano a piovere in queste settimane i nuovi report delle principali agenzie internazionali piene di speranze e buoni propositi. Nei giorni scorsi l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) ha rivisitato il report del 2021 dedicato al net Zero per dire che tutto sommato ce la potremmo ancora fare a stare entro 1,5°C di riscaldamento globale medio. (2) Ma a patto che si facciano subito una serie di cose con grande impegno e armonia planetaria che non si capisce bene dove trovare. Dovremmo triplicare la capacità installata globale di energie rinnovabili a 11.000 gigawatt entro il 2030, raddoppiare il tasso annuale di miglioramento dell’intensità energetica entro il 2030 e aumentare di molto la diffusione di veicoli elettrici e pompe di calore per favorire l’elettrificazione del sistema energetico. Senza dimenticare il nucleare e lo sviluppo di sistemi di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS), ma neppure l’idrogeno e la bioenergia sostenibile. Tutto necessario e da realizzare in un pugno di anni, passando – secondo i conti di AIE – da 1,8 trilioni di dollari di investimento verde previsti per il 2023 a circa 4,5 trilioni di dollari all’anno entro i primi anni del 2030 per essere in linea con l’obiettivo 1,5. Al momento molto sta cambiando, intendiamoci, ma piuttosto sotto l’atteso, come attestato da una serie di report, come quello dello scientific advisory europeo appena uscito. (3)
Come fare allora? La sfida secondo l’OCSE è di consentire le transizioni necessarie sapendo che ci muoviamo in tempi di crisi (enabling transitions in times of disruption). La ricerca scientifica e l’innovazione giocano un ruolo cruciale, visto che da un terzo alla metà della transizione climatica si farà con tecnologie che non sono ancora mature per il mercato. Ma la sfida sarà di superare le formidabili barriere economiche, politiche e geopolitiche, che impediscono un pieno sviluppo di queste energie e soprattutto la traslazione rapida delle innovazioni secondo una logica orientata alle missioni. Un primo segnale di come andrà lo avremo a inizio dicembre con la COP 28 di Dubai, e a seguire con i risultati delle elezioni europee e statunitensi. Ci aggiorniamo fra un po’.
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