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NOEMI, nanoparticelle in orbita per studiare l’invecchiamento

Sono partite sullo Dragon di SpaceX destinazione Stazione Spaziale Internazionale

Gianni Ciofani, non ancora quarantenne, già tra i giovani ricercatori promettenti supportati dal prestigioso ERC, una settimana fa si preparava a partire verso una meta insolita per uno scienziato abituato a progettare navicelle nanometriche per il trattamento di malattie umane, Cape Canaveral, negli Stati Uniti, il luogo entrato nella storia per la missione spaziale che portò l’uomo sulla Luna. L’obiettivo? Realizzare esperimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale.

«La ISS è un ambiente e un laboratorio unico – ha spiegato Ciofani prima della partenza – la possibilità di svolgere esperimenti su di essa è estremamente limitata ed ogni dato che possiamo ottenere stando lassù è un’occasione irripetibile».

Il progetto di Ciofani si chiama NOEMI, è supportato da Fondazione Cariplo ed ESA, e prevede lo studio di nuovi antiossidanti artificiali costituiti da nanoparticelle dette nanoceria (nanoparticelle di ossido di cerio), che imitano il comportamento degli enzimi negli organismi viventi. «Questi nanomateriali progettati nel nostro laboratorio sono molto promettenti per la loro attività anti ossidante. Le particelle possono proteggere gli organismi dai danni causati dallo stress ossidativo» spiega Ciofani. Lo stress ossidativo è una delle principali cause dell’invecchiamento.

«Il nostro scopo è trarre nuove conoscenze sugli effetti della microgravità sulle cellule che studiamo; inoltre, nel nostro esperimento investighiamo anche le proprietà dei nanomateriali in gravità alterata, e questo rappresenta veramente un caso unico in letteratura che ci consente di aprire nuovi filoni di ricerca sia per quanto riguarda la medicina spaziale in senso stretto che la ricerca biomedica terrestre».

Il 4 maggio Ciofani, con il suo gruppo composto da Giada Genchi, Chiara Martinelli, Matteo Battaglini e Daniele de Pasquale (tutti post-doc o dottorandi IIT), era in Florida alla partenza della navicella Dragon di SpaceX con destinazione la Stazione Spaziale Internazionale. A bordo c’erano le nanocerie e le cellule viventi, che coabiteranno per sei giorni in un incubatore. I campioni viaggiano caldi e comodi, mantenuti ad una temperatura di circa 30°C, per rispondere alle sollecitazioni della vita nello spazio. L’assenza di peso, la gravità artificiale e le radiazioni avranno un impatto sulla coltura.

L’esperimento mira  a stimolare in modo innovativo le cellule nella battaglia contro la perdita di tono muscolare, insufficienza cardiaca, diabete o morbo di Parkinson. Intervenendo a livello genetico, Ciofani e il suo gruppo sperano di trovare una soluzione su misura che fermi gli effetti nocivi di lunghe permanenze nell’orbita terrestre e nello spazio profondo.

La nanoceria internalizzata dalle cellule potrebbe agire come agente anti ossidante, senza necessità di somministrazioni ripetute, che siano pillole o iniezioni. Gli effetti potrebbero durare più a lungo di qualsiasi supplemento farmaceutico – fino a diverse settimane.

Ospitato nel modulo Columbus dell’ESA, l’incubatore Kubik comprende una centrifuga compatta che simula la gravità. Metà dei campioni saranno tenuti quasi a gravità zero, mentre il resto sarà esposto alla stessa gravità che sulla Terra. Dopo il viaggio, i campioni saranno mantenuti a -80°C così da potere “congelare” il risultato e studiarlo nei laboratori terrestri.

Il gruppo di Ciofani, confronterà i risultati ottenuti nello spazio con una coltura che porteranno avanti in parallelo sulla Terra, per capire se i risultati che osserveranno possano essere relativi alla microgravità o ad altri fattori ambientali, come ad esempio le radiazioni spaziali.

I risultati di questa ricerca potrebbero aiutare a sviluppare nuovi supplementi dietetici per supportare gli astronauti durante lunghi soggiorni nello spazio e future missioni sulla Luna. Sulla Terra le proprietà anti ossidanti di queste nanoparticelle potrebbero inoltre portare beneficio agli anziani ed alle persone con disturbi dell’atrofia muscolare.

«Se dovessi guardare al futuro più lontano, vedrei integratori alimentari a base dei nostri nanomateriali da somministrare agli astronauti assieme al cibo in missioni di lunga durata, ad esempio racchiuse in pillole deglutibili che ne permettono il rilascio e l’assorbimento negli ambienti opportuni. Questo ovviamente in un futuro ancora un po’ remoto, quando le reazioni dell’organismo a questi materiali nanotecnologici saranno completamenti chiari», conclude Ciofani.

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