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PI Profiles: Giancarlo Ruocco

Intervista a Giancarlo Ruocco, coordinatore del Center for Life Nano- & Neuro-Science (CLN²S@Sapienza) di IIT

Nome: GiancarloCognome: RuoccoLuogo di nascita: Roma, ItaliaRuolo: PI, Coordinatore del Center for Life Nano- & Neuro-ScienceDi cosa si occupa il tuo team di ricerca?Sono nato, scientificamente, studiando cose che -seppur potenzialmente applicative- erano molto astratte: la dinamica degli atomi e delle molecole nei liquidi e nei vetri. Ho proseguito studiando uno stato particolare della materia -una via di mezzo tra i liquidi e i vetri- che va sotto il nome di “soft matter”, per passare alla mia attività attuale: applicare le conoscenze acquisite nello studio della materia disordinata come liquidi e vetri, alla materia biologica.Pensavi di fare questo mestiere da piccolo?Si, esattamente. Pensavo a quello che poi ho fatto o meglio, sto cercando di fare: scoprire come funzionano le cose, dalla lavatrice smontata tra le urla dei genitori, alle motociclette fatte a pezzi e poi rimontate, fino a cercare di migliorare un microscopio che ci aiuti a capire come si assemblano tra loro le proteine.Quella volta in cui avresti voluto mollare tutto e fare altro: Un domani, forse.“Publish or perish”. Quanto influenza le tue giornate e le tue scelte lavorative la pressione della pubblicazione?Poco. Ci pongo attenzione quando penso ai più giovani e al fatto che dovranno camminare in un mondo che sta cambiando, in cui “P.or P.” è divenuta la parola d’ordine. Ma poi mi convinco che loro, i giovani, possono cambiare il mondo invece di subirlo negli aspetti negativi. E trasmetto loro il mio messaggio: pensate a divertirvi nel fare il vostro lavoro, il resto viene da sé.Quando hai capito che stavi andando nel verso giusto?Non sono così presuntuoso da pensare che sto andando nel verso giusto, ma lo sono abbastanza da pensare che il verso dove sto andando è per definizione quello giusto per me.Qual è il tuo prossimo obiettivo?Continuare a fare quel che sto facendo, divertirmi a cercare cose nuove che, magari, possano essere utili a qualcuno.Qual è l’aspetto più difficile del tuo mestiere?Gestire i rapporti umani con i colleghi, con i giovani, con gli studenti. La psiche umana è un sistema troppo complesso per essere categorizzato e quindi gestito.Il ricercatore senior si deve curare anche di molti aspetti burocratici come condizione necessaria. Apparentemente è un aspetto che difficilmente si concilia con l’attività di ricerca. Come la vivi?La ritengo parte integrante dell’attività di ricerca, un concetto non ovvio, né tantomeno innato, ma che va acquisito con il trascorrere del tempo.Chi dovrebbe investire di più nella ricerca rispetto a quanto fa oggi?La ricerca “rende”, ma sul lungo tempo, più lungo del tempo medio di vita di un governo. Aggiungendo a questo il fatto che in Italia, ma non solo, stiamo vivendo un momento storico di cronico analfabetismo scientifico, ecco che sperare in un adeguato finanziamento pubblico alla ricerca è illusorio e i principali finanziamenti sono di carattere comunitario e non nazionale. Al contrario, le imprese che possono investire risorse contando su tempi medio lunghi iniziano a percepire quanto importante sia il ritorno che possono ottenere anche da un piccolo investimento in ricerca e innovazione.Si parla abbastanza di scienza al di fuori dei laboratori e del mondo accademico?Purtroppo in questo momento storico se ne parla, ma a sproposito. L’analfabetismo scientifico è arrivato a livelli impressionanti. La gran parte dei cittadini e dei policy maker ignora il messaggio scientifico, e non mi riferisco solo al contenuto del messaggio bensì anche al significato stesso di messaggio scientifico. Mi spiego facendo un esempio caro a tutte e tutti in questo periodo: non è importate presentarsi al grande pubblico e dire “bisogna vaccinarsi”, ma è importante spiegare che dietro questa frase c’è un percorso di pensieri, collegamenti, sperimentazioni, “trials and errors”, un percorso scientifico appunto, che ha portato a questa conclusione. E la mancanza di comprensione è tutta colpa di noi ricercatori, senza scusante alcuna.Da chi hai ricevuto l’insegnamento più importante durante il tuo cammino?Dall’interazione con i giovani, con gli studenti, con coloro che cercano in te un riferimento.Cosa diresti oggi al giovane te che termina il suo dottorato?Vola libero, non pensare ad altro che a fare la ricerca che ti piace fare.Lavorare in diversi Paesi è fondamentale per un ricercatore?Ogni Paese ha il suo sistema, con pregi e difetti, conoscerne molti apre la mente. Ma questo non implica che sia assolutamente necessario conoscerne molti. Non concordo con il dogma esterofilo del “fuori è bello”. L’Italia è un Paese che offre a chi fa ricerca tante cose che non offrono altri Paesi. Non riconoscerlo, il voler far assurgere l’esperienza all’estero come un valore assoluto, è questo il vero atteggiamento provinciale cui stiamo assistendo. Io non riconosco questo valore, non ho mai creduto che chi tra i giovani è andato all’estero sia migliore di quelli che sono rimasti. Anzi, al contrario, in un ecosistema a risorse limitate, cerco di trattenere in Italia quelli che reputo i migliori.Puoi migliorare un aspetto della ricerca in generale. Quale scegli?Con la bacchetta magica? La considerazione che ha il pubblico della ricerca. Con il lavoro concreto? Creare un clima collaborativo, a tutti i livelli, personale e istituzionale.

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