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PNRR: più ricerca per aiutare la ripresa industriale, ma basterà?

Il PNRR, approvato dalla Commissione Europea, ha fra le sue sei missioni anche quella dedicata a istruzione e ricerca

Destinati 30,88 miliardi di euro tramite il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF). Fondi che salgono a 33,81 miliardi se si considerano anche React EU e il Fondo complementare. Tutti i fondi allocati nel PNRR provenienti dal RRF devono essere spesi entro il 2026, anche grazie a parallele riforme che dovrebbero facilitarne l’utilizzo.

La Missione 4, intitolata “Istruzione e ricerca”, non è peraltro l’unica a mettere risorse sul potenziamento della ricerca e sviluppo. Anche la Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” stanzia dei fondi (o prevede crediti di imposta) soprattutto sulla ricerca applicata nel campo della digitalizzazione: di fatto la prosecuzione di Industria 4.0. La stessa Missione 2 dedicata alla transizione ecologica – la più cospicua con i suoi 60 miliardi di euro – riserva un po’ di risorse ad azioni di ricerca ambientale, nei campi del monitoraggio nei parchi e nelle riserve marine, dell’economia circolare e della scommessa dell’idrogeno e degli accumulatori. Infine, la Missione 6 ha addirittura un capitolo che si intitola “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del Sistema sanitario nazionale”. Indubbiamente però la posta più grossa la troviamo appunto nella Missione 4 “Istruzione e ricerca”, che con circa 20 miliardi di euro potenzia la scuola e con quasi 13 miliardi disegna un ambizioso programma denominato “Dalla ricerca all’impresa”.


Figura 1. Estrapolazione dalla tabella 1.1 del PNRR. Si riportano sia i fondi del Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF) – allocati dal PNRR – sia i fondi del React EU e del Fondo complementare.


Come riconosce lo stesso PNRR in più parti, la ricerca italiana soffre di una decennale disattenzione. La nostra spesa pubblica in ricerca e sviluppo (R&S) si aggira da qualche anno intorno all’1,4% del PIL (media OCSE: 2,4%), con finanziamenti dal pubblico pari allo 0,5% del Pil e i finanziamenti privati allo 0,9 % (media OCSE dal privato: 1,7%). Oltre poi a una carenza generalizzata nella domanda di innovazione, in Italia il numero di “ricercatori per persone attive occupate dalle imprese” è circa la metà della media europea; fatto che si ripercuote anche nelle pubblicazioni scientifiche che vedono la compresenza di ricercatori del pubblico e del settore privato, che nel 2019 erano la metà di quelle europee. Segno questo che la collaborazione fra ricerca accademica e industriale è ancora poco sviluppata rispetto ad altre realtà. Ragione che ha spinto il PNRR a focalizzarsi particolarmente su questo settore della ricerca orientata all’innovazione.



Gli assi portanti: dalla ricerca all’impresa

La missione 4 prevede una riforma accoppiata a uno specifico investimento di circa 430 milioni – nella componente relativa all’istruzione – per ampliare e semplificare il coinvolgimento di dottorati nelle imprese e nei centri di ricerca. Ma la voce maggiore di spesa rientra nella seconda componente della missione 4, “Dalla ricerca all’impresa”, per la quale vengono allocati circa 12 miliardi. Questa componente si articola in una riforma preliminare per “promuovere la semplificazione e la mobilità” e in tre linee di investimento, per un totale di undici investimenti specifici. Il Piano riporta che “per tutte le misure sono previste procedure di selezione su base competitiva”. In altre parole. In tutte le missioni del PNRR le risorse previste non vengono stanziate a priori e a pioggia a determinati enti, ma sono previsti in specifici bandi competitivi che verranno lanciati dal prossimo autunno. Novità questa non da poco, e che se correttamente svolta dovrebbe tendere a premiare chi presenterà progetti più convincenti.

Ma con quali criteri verranno scelti i progetti? Per usare le parole del PNRR, “I criteri per la selezione dei progetti saranno ispirati a: a) garanzia della massa critica in capo ai proponenti, con attenzione alla valorizzazione dell’esistente; b) garanzia dell’impatto di lungo termine (presenza di cofinanziamento anche con capitale privato); c) ricadute nazionali sul sistema economico e produttivo; d) cantierabilità del progetto in relazione alle scadenze del Piano”. Il tutto vigilato da un “apposito supervisory board”.


Figura 2. Tabella tratta dal PNRR sull’allocazione dei fondi per ogni investimento.


Gli investimenti

La prima linea d’azione – per un totale di 6,91 miliardi – riguarda il “rafforzamento della ricerca e diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra università e imprese”. Il primo investimento finanzia con 1,8 miliardi quanto già previsto dal nuovo Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2027, in settori come digitale, aerospazio, energia, bioeconomia, agricoltura, oltre a mettere nuova benzina nei PRIN, che fino al 2026 potrà così finanziare più di 5.000 progetti di università ed enti di ricerca pubblica (EPR) come il CNR. Da questa voce di finanziamento un istituto pubblico ma di diritto privato come l’IIT resta escluso.

Altri 600 milioni verranno invece dedicati a finanziare progetti di massimo 2100 giovani ricercatori, “sul modello dei bandi European Research Council, Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowships e Seal of Excellence”, in modo da potenziare questo genere di finanziamenti individuali molto rari nel nostro paese.

Questo primo capitolo riserva inoltre circa 4,5 miliardi a rafforzare i partenariati fra università, centri di ricerca e imprese con appositi bandi (1,61 miliardi), ma anche a creare nuovi centri di ricerca, o forse sarebbe meglio chiamarli “campioni nazionali” di ricerca e sviluppo su alcuni grandi capitoli di ricerca tecnologica (Key Enabling Technologies),come quantum computing, biopharma, agritech, fintech e altre tecnologie per le transizioni digitale ed ecologica (1,60 miliardi), e infine un’altra posta (1,30 miliardi) volta a creare cosiddetti “leader territoriali in R&S”. La misura, a prima vista non chiarissima, “si concretizza attraverso il finanziamento entro il 2026 di 12 “campioni territoriali di R&S” (esistenti o nuovi) che verranno selezionati sulla base di apposite procedure competitive, con attenzione alla capacità di promuovere progetti di sostenibilità sociale. Ogni progetto dovrà presentare in misura significativa i seguenti elementi: “a) attività formative innovative condotte in sinergia dalle Università e dalle imprese e finalizzate a ridurre il mismatch tra competenze richieste dalle imprese e competenze fornite dalle università, nonché dottorati industriali; b) attività di ricerca condotte e/o infrastrutture di ricerca realizzate congiuntamente dalle Università e dalle imprese, in particolare le PMI, operanti sul territorio; c) supporto alle start-up; d) coinvolgimento delle comunità locale sulle tematiche dell’innovazione e della sostenibilità”.



Resta, a conclusione di questa prima parte del finanziamento PNRR sulla ricerca, l’impressione che il Piano voglia creare più massa critica attorno a centri esistenti ma non crearne di nuovi, anche per scantonare l’opposizione che tale ipotesi incontra nel mondo degli EPR, lavorando più che altro nel profilare un po’ meglio le specializzazioni di alcuni centri migliorando al contempo le partnership con università e imprese.

Il secondo capitolo degli investimenti in ricerca del PNRR – pari a 2,05 miliardi – riguarda il sostegno a innovazione e trasferimento tecnologico, quindi la “messa a terra” della ricerca. La prima misura è volta a rimpolpare con 1,5 miliardi il fondo del MISE per facilitare la partecipazione italiana ai cosiddetti Importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI), ovvero a consolidare la presenza nazionale nelle “catene strategiche del valore” dell’industria europea a rischio di fallimenti di mercato e quindi da sostenere con fondi pubblici, soprattutto nel settore delle tecnologie abilitanti ricordate prima. 200 milioni sono invece destinati a sviluppare partenariati fra centri di ricerca e imprese su progetti di Horizon Europe, in particolare su: 1) High Performance Computing, 2) Key digital technologies, 3) Clean energy transition; 4) Blue oceans – A climate neutral, sustainable and productive Blue economy; 5) Innovative SMEs. La spinta a innovazione e trasferimento tecnologico si completa con 350 milioni per razionalizzare la rete di 60 centri (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale) incaricati dello sviluppo progettualità, dell’erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati e servizi innovativi e qualificanti di trasferimento tecnologico. Anche questa misura verrà governata dal MISE a beneficio soprattutto delle imprese.



Infine, la terza linea di intervento – pari a 2,48 miliardi – vuole aumentare l’osmosi fra ricerca accademica e industria agendo su tre fronti: la creazione di 30 infrastrutture ibride di ricerca e innovazione di respiro europeo (1,58 miliardi); l’integrazione del Fondo Nazionale per l’Innovazione, lo strumento gestito da Cassa Depositi e Prestiti per sostenere lo sviluppo del Venture Capital in Italia, rivolto allo start-up di 250 piccole e medie imprese (300 milioni da integrare con fondi privati); e l’istituzione di “dottorati innovativi” nonché l’incentivazione all’assunzione di ricercatori precari junior da parte delle imprese. Sempre con riferimento alle Key Enabling Technologies, si attiveranno a questo fine circa 5000 borse di dottorato per tre anni con cofinanziamento privato (sottoposti a valutazione internazionale) “e l’incentivo all’assunzione di 20.000 assegnisti di ricerca o ricercatori da parte delle imprese”.



I commenti

La Missione Ricerca così definita è stata criticata da alcuni per l’eccessivo sbilanciamento verso la ricerca applicata e industriale rispetto a quella “Curiosity driven”. Come fanno notare i sindacati e il gruppo di ricercatori capeggiato dal fisico Ugo Amaldi (vedi Piano Amaldi), il PNRR avrebbe dovuto puntare di più sulla ricerca di base, vero investimento a lungo termine per lo sviluppo di tecnologie future. Tuttavia, l’Europa, anche in particolare con il pacchetto Next Generation EU, chiede di concentrare l’attenzione sulla ripresa industriale ed economica dei paesi membri per creare velocemente posti di lavoro, bruciati dalla pandemia. Respinge le critiche la Ministra Maria Cristina Messa in una recente intervista al giornale Scienza in rete: “Integrando i fondi nazionali con quelli del PNRR struttureremo i PRIN con una dotazione annuale di circa 500 milioni all’anno per bandi di ricerca, per giovani ricercatori aggiungiamo 600 milioni del Recovery ai 200 dei fondi strutturali, inoltre il nuovo Fondo italiano per la scienza è totalmente destinato alla ricerca fondamentale, con una dotazione di 50 milioni per il 2021 e 150 a partire dal prossimo anno”. La Ministra ricorda infine che il PNRR prevede un investimento di 600 milioni di euro per progetti di giovani ricercatori sul modello dei bandi European Research Council, Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowships e Seal of Excellence. “L’obiettivo è consentire loro di maturare una prima esperienza di responsabilità di ricerca” e offrire un’alternativa al trasferimento all’estero, che sempre più spesso i nostri ricercatori vedono come unica possibilità per proseguire la loro carriera”.

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