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Quanto c’è di reale in un’azione simulata?

I ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia coordinati da Cristina Becchio hanno misurato le differenze che esistono tra un atto simulato e uno reale. La ricerca pubblicata su Frontiers in Human Neuroscience.

Mimi, attori, prestigiatori e malfattori hanno in comune l’arte dell’illusione, della pantomima, la capacità di compiere azioni finte che richiamano movimenti in ambienti reali, come per esempio tirare una corda che non esiste e minacciare di estrarre un’arma che non c’è. Ma quanto c’è di reale in un’azione simulata?

Nel lavoro coordinato da Cristina Becchio i ricercatori hanno misurato le differenze che esistono tra un atto simulato e uno reale, dimostrando che le due azioni differiscono l’una dall’altra, sebbene le azioni simulate riescano a comunicare un contenuto di realtà, come per esempio il peso degli oggetti. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista internazionale Frontiers in Human Neuroscience.

Il modo in cui ci muoviamo verso un oggetto dipende dall’uso che intendiamo farne, ma anche dalle caratteristiche dell’oggetto stesso. Oggetti grandi vengono raggiunti e afferrati più rapidamente di quanto non accada per oggetti piccoli. In questo senso si parla di “cinematica del movimento”, ovvero come il nostro corpo si muove nel compiere delle azioni assumendo una “forma” che riflette le proprietà fisiche del contesto e delle cose che lo popolano.  

Lo studio dei ricercatori coordinati da Cristina Becchio dimostra che la cinematica del movimento durante l’azione di prensione di un oggetto riflette il peso dell’oggetto stesso, cioè il nostro corpo adegua la forma del proprio movimento al peso di ciò che stiamo per afferrare: gli oggetti più pesanti vengono avvicinati e presi in modo diverso rispetto agli oggetti più leggeri. Tale risultato è valido anche se l’oggetto pesante e quello leggero non sono reali, ma soltanto immaginati. I ricercatori, cioè, hanno dimostrato che la realizzazione di un atto finto ha un contenuto di realtà legato al peso dell’oggetto, sebbene questo sia inesistente.

Lo studio si inserisce nelle attività di laboratorio della C’MoN Unit coordinata da Becchio, che hanno lo scopo di cercare di chiarire i principi alla base della complessa relazione tra azione e lettura delle intenzioni in contesti di interazione sociale. Le azioni, infatti, si delineano sempre più come contenitori di informazioni, che da una parte vengono prodotti (chi compie le azioni) e dall’altra decodificati (chi li osserva). Un processo che apre alcuni interrogativi quali la possibilità di ‘condizionare’ il pensiero di chi ci osserva ‘condizionando’ l’informazione che il nostro movimento veicola.

Autori della ricerca sono Caterina Ansuini, Andrea Cavallo, Claudio Campus, Davide Quarona, Atesh Koul e Cristina Becchio.

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