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Worklife balance, garantire continuità consapevoli del cambiamento

Intervista al Direttore Human Resources and Organization di IIT, Marco Monga

Ciao Marco, come state affrontando l’emergenza da Coronavirus in IIT?

Giorno dopo giorno stiamo prendendo “confidenza” con l’emergenza. All’inizio è stato davvero complesso riuscire a prendere decisioni in fretta, con pragmatismo e cautela. Alla fine abbiamo cercato di ridurre per quanto possibile l’accesso agli uffici e nei laboratori, qualche giorno fa per esempio a Morego c’erano circa 60 persone, meno di un decimo di quelle che possiamo vedere abitualmente. L’uso del telelavoro è praticamente universale e per ora l’adrenalina sta aiutando tutti a superare le difficoltà. Uno sforzo comune è quello di mantenere nelle nostre agende, oltre alle attività improcrastinabili, siano esse di supporto alla ricerca che di natura amministrativa, anche qualche task “normale” che ci tenga legati alla realtà di ieri che deve ridiventare la normalità di domani. Per esempio continuiamo a coltivare la comunità degli alumni!

Vedi un’opportunità in questa situazione? Se sì quale?

Tutte le situazioni sono opportunità, più le prime sono sfidanti più le seconde sono vaste. Detto ciò, sono abbastanza convinto che dopo nulla sarà come prima, o perlomeno ci vorrà molto tempo prima che le relazioni sociali riprendano la dinamica spontanea a cui eravamo abituati, dalla semplice stretta di mano al bacio sulla guancia dato al momento dei saluti. Questo avrà un effetto enorme su tanti meccanismi talmente scontati che non li abbiamo mai osservati. E forse sarà anche l’occasione in cui ci sarà meno ipocrisia e più trasparenza. Detto ciò, l’opportunità maggiore ce la stiamo giocando a livello individuale: oggi dobbiamo chiederci “DOPO, che immagine vorrò portare di me? quale ricordo dovrò avere e gli altri con me di quello che ho pensato, detto, fatto, in questa situazione?”. La maggiore opportunità è quella di riprogettare la nostra presenza nella vita con gli altri, nelle organizzazioni e nel mondo in generale.

Quante persone ad oggi sono in telelavoro in IIT? 

Praticamente tutti, cioè oltre 1700 persone. Nessuno si è mai fermato, questo è uno dei motivi di maggior orgoglio per tutti gli IITiani.

Chi è rimasto a tutti gli effetti presente on-site, sia esso il lab centrale o altri laboratori della rete?

Ci sono alcune facility di ricerca che necessitano la presenza programmata di persone, per la salvaguardia di colture cellulari per esempio. Poi ci sono anche attività amministrative (siamo nel pieno della chiusura del bilancio annuale) che si avvantaggiano della possibilità di interagire in tempo reale di avere a disposizione gli archivi. Tutto ciò viene svolto nella massima attenzione alle misure di sicurezza, e comunque riducendo al minimo indispensabile la presenza negli uffici e nei laboratori. #iorestoacasa vale anche per noi, che del pensiero scientifico facciamo la ragione di vita.

Ad oggi hai la sensazione che le persone siano pronte a gestire un cambiamento tanto importante in modo così immediato?

Come dicevo prima, oggi siamo in overdose di adrenalina, penso che sia presto per valutare la resa sul lungo periodo. Ma sono ottimista, chi lavora in IIT ha sempre dimostrato un forte senso di appartenenza, è un marchio di fabbrica che ci portiamo dietro dal tempo in cui eravamo una start up. Oggi tante cose sono cambiate, i testimoni del periodo pioneristico sono ormai pochi rispetto alla moltitudine che lavora in IIT, ma quell’orgoglio di far parte di una bellissima anomalia italiana è tutt’ora il legame che unisce così tante persone, che arrivano da tutte le parti del mondo convinte che a Morego si possa realizzare qualche sogno.

Quali sono le maggiori difficoltà che intravedi sul cammino verso il lavoro agile, anche basandoti sui dati che stanno probabilmente venendo a galla in questo periodo?

Lo smart working non ha quasi nulla a che vedere con quello che stiamo sperimentando oggi. Il telelavoro è solo un piccolo elemento che contraddistingue il lavoro agile. Lavoro agile significa organizzare i processi in modo che possano essere eseguiti task indipendenti in modo asincrono e senza vincoli di luogo. Vuol dire agire una leadership nuova, fatta di delega, comunicazione, feedback. Vuol dire mettere in capo tecnologie facilitanti. E tante alte cose. Detto ciò, l’attuale esperienza è comunque una importante momento di verifica sullo stato attuale e sul livello di adeguatezza appunto di sistemi organizzativi, management e tecnologie, ossia ci dirà la misura della distanza che ci separa dalla realizzazione piena di un vero modello di smart working.

C’è qualcosa che vorresti dire agli IITiani che leggono questo pezzo in questo momento incerto?

Cito John Lennon: “everything will be ok at the end, if it’s not ok it’s not the end”.

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