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Dalla fantasia alla realtà, nasce l’altra specie. La visione di Roberto Cingolani

Otto domande sul binomio uomo-robot in conversazione con Caterina Visco

Se si vuole capire come l’IIT sia diventato uno dei centri di ricerca più apprezzati in Italia e all’estero si deve interpretare oltre le righe il racconto di Cingolani. Nelle risposte che egli propone a Caterina Visco si intravvede, oltre le considerazioni scientifiche, lo spirito, l’anima della Fondazione. IIT è sullo sfondo, naturalmente, si parla d’intelligenza artificiale, del futuro dell’uomo e dei robot, temi divenuti ormai di dominio comune e quotidiano. Ma nel dispiegarsi di questo grande racconto su come saranno le macchine che ci accompagneranno nelle nostre future abituali attività, comprendiamo cosa voglia dire interdisciplinarità, approfondiamo il tema della paura delle macchine, ragioniamo se quest’ultime possano avere un’etica evidenziandone l’impossibilità perché questo valore non può che appartenere al costruttore. È l’uomo che disegna il futuro con una ineguagliabile capacità di ricerca e innovazione ed è sempre l’uomo che crea i propri fantasmi. La macchina intelligente che cancella il genere umano è uno di questi. Il lettore che si aspetta di dover leggere le noiose e indecifrabili pagine scritte da un fisico, Direttore Scientifico di un istituto che raccoglie 1600 ricercatori, è sorpreso. Pur attestandosi su certe e provate teorie scientifiche, Cingolani diviene lo sceneggiatore di un film sul futuro dove passano sì i lampi di qualche incertezza, di qualche timore, sempre  però rintuzzati dall’intelligenza e da tutte quelle reazioni dettate dai sentimenti che rendono l’uomo unico .Quando Caterina Visco chiede a Cingolani come immagina il 7000 d.C. “basandoti sulle tue conoscenze, sulla tua capacità d’immaginare il futuro”, inoltrandoci nella risposta, il pensiero va ai grandi visionari che hanno saputo emozionarci descrivendoci scenari che credevamo impossibili. Chissà cosa sarebbe accaduto se Roberto Cingolani avesse incontrato Stanley Kubrick e gli avesse potuto dire che:“l’unica cosa che penso è che sicuramente non saremo più esclusivamente sulla Terra. Avremo rotto le barriere delle distanze e staremo inquinando tutto l’universo perché l’avremo invaso sempre se non ci saremo già autodistrutti o se non saremo già stati distrutti da un’altra civiltà. Ma l’idea che mi sembra plausibile è che non potremo più vivere sulla Terra, sia perché esplorare è iscritto nel nostro DNA, sia perché già adesso siamo stretti. Volendo azzardare, potemmo immaginare di avere delle tecnologie che ci permetteranno di viaggiare nel tempo; o magari salteremo da un punto all’altro del nostro universo, o addirittura tra universi diversi del multiverso. Se fra 2000 anni non sarà difficile andare da una galassia all’altra nel nostro universo, e se tra 5000 non sarà un problema andare da un universo ad un altro, mi chiedo cosa sognare che accadrà tra 15 mila anni. Questo dimostra che la fantasia è incrementale. Più ci allontaniamo dai dati reali, più la capacità di immaginare diventa rarefatta e si trasforma in arte e forse, alla fine, in fede. Conosciamo a malapena qualche migliaio di anni di storia di Homo Sapiens e ci riesce difficile estrapolare e immaginare cosa potrebbe succedere su tempi più lunghi della nostra stessa esperienza. Possiamo estrapolare e prevedere il futuro a breve termine quando conosciamo bene lo sviluppo del passato. Oltre diventa pura invenzione, più arte che scienza”.

“L’altra specie” si apre con il ricordo che Cingolani ha di un bambino che aveva visitato l’IIT e che osservava, stupefatto, i Robot in costruzione nei laboratori. Cingolani chiude il libro immaginando questo bambino che, divenuto uomo adulto, ricorderà come aggeggi primordiali le invenzioni dell’IIT. In questo percorso c’è l’ottimismo verso un futuro ”di pace e giustizia” nel quale l’uomo possa dare ancora il meglio di sé. “Se sarà cosi, tutto avrà avuto un senso”.

Avrebbe altrettanto senso se “L’altra specie “ venisse adottato da qualche insegnante di scuola media superiore. Sarebbe un modo per trasferire cultura e nozioni attraverso la grande capacità divulgativa di Cingolani e, forse, risalire la china della classifica stilata dalla società EIKON secondo la quale tra le parole che ricorrono meno tra quelle associate al nostro Paese vi è il termine innovazione.

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