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Innovazione è avere uno sguardo diverso sulle cose, intervista a Vittorio Pellegrini

Pellegrini è direttore dei Graphene Labs di IIT e co-fondatore della neo azienda BeDimensionalLa start-up ha di recente ricevuto 18 milioni di investimento dal gruppo Pellan per potenziare gli spazi produttivi in Val Polcevera, a Genova, come raccontato recentemente da Il Secolo XIX. Non lo si può definire un ricercatore rinchiuso nella cosiddetta “torre d’avorio della scienza”. La comunicazione verso i non esperti è parte integrante del suo lavoro, non solo per raccontare i risultati di laboratorio, ma anche per coltivare la cultura dell’innovazione. “Realizzare una scoperta è fare innovazione, ma non è l’elemento necessario” spiega, seduto al tavolo rotondo del suo ufficio. “L’innovazione non richiede una novità, un bianco e un nero, ma richiede uno sguardo diverso. E’ una predisposizione mentale, più che una formazione. E’ quasi un fatto genetico, come tutte le doti, e deve esserci il contesto giusto dove potere emergere”. Raccontare la scienza, quindi, contribuisce alla creazione di un contesto fertile per le nuove idee, nuove tecnologie, e nuovi modi di vedere. Nel cassetto della sua scrivania, Pellegrini custodisce alcuni capitoli di un libro che non ha mai concluso, ma la cui idea di base era quella di raccontare l’elettrone come un personaggio che si trasforma all’interno di una storia. “Sebbene l’elettrone sia sempre rimasto se stesso”, dice Pellegrini”, “è cambiato il nostro modo di vederlo e di interpretarlo: un fluido, una particella, un’onda, l’accoppiamento con altre particelle, e così via”. La medesima trasformazione è valsa per il grafene. “Andre Geim e Konstantin Novosëlov, premi Nobel nel 2010, hanno fatto questo con il grafene:  era un materiale già noto, ma prima di loro nessuno lo aveva capito, non gli avevano dato la spiegazione giusta”, quando iniziò studiarlo, tra il 2005 e il 2007,non esisteva ancora “l’intuizione di cosa il grafene avrebbe potuto generare” ricorda Pellegrini. Solo qualche anno dopo è diventato chiaro che il grafene rappresenta un’opportunità tecnologica sulla quale investire, su cui anche l’Europa ha investito un miliardo di euro in dieci anni per il progetto Flagship Graphene. Ed è così che Pellegrini cerca di raccontarlo oggi, prestando attenzione al modo con cui con lo fa. “La comunicazione per me ha un aspetto di sfida”:  si tratta di fare accedere le persone alla scienza attraverso un linguaggio semplice, ma corretto. E’ qualcosa di molto delicato, poiché se si usa un linguaggio non corretto, questo potrebbe generare incomprensioni che possono amplificarsi, fino a raccontare la cosa sbagliata”. L’attenzione per il corretto utilizzo delle parole nasce da una spiacevole esperienza durante gli anni del dottorato alla Normale di Pisa. “Stavo per pubblicare un articolo scientifico che riguardava l’ideazione di un dispositivo in cui gli elettroni non dissipavano energia. Incontrai un giornalista e gli raccontai l’invenzione. Il giorno dopo, il quotidiano titolava la notizia dicendo che era stato costruito un dispositivo che non consumava energia. Un titolo completamente fuorviante, che andava contro i principi della termodinamica“. Quell’esperienza lo influenza ancora. “Gli articoli che ho scritto per il Corriere Innovazione (Il grafene spiegato ai nostri figli, La batteria spiegata ai nostri figli, ndr) sono stati un banco di prova” dice. “Per esempio, una volta ho voluto spiegare le cariche elettriche semplificandole con lo scorrere dell’acqua; ma prima di farlo mi sono chiesto più volte se potesse essere corretto fino in fondo, o se potesse risultare sviante per il lettore. Mi sono anche consultato con alcuni colleghi”. Ma la similitudine aveva il fascino dell’immediatezza e così l’ha usata.

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